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L’Olocausto in Abruzzo: il campo di internamento di Sulmona.

- 27/01/2023


Quando si parla di campi di internamento e concentramento, subito ci viene da pensare ad Auschwitz o Birkenau, che nel nostro immaginario collettivo ci ricordano le storie delle vittime dell’Olocausto durante il nazismo. Ma oltre a questi luoghi così lontani, ci dimentichiamo che ce ne sono altrettanti, ugualmente significativi, anche in Italia e, nel mio caso, molto vicino a casa nostra, in Abruzzo.

Abbiamo già parlato in un articolo del campo di concentramento di Casoli, ma oggi vi racconteremo di un altro campo di internamento, questa volta a Sulmona, nella provincia de L’Aquila. Per farlo abbiamo avuto il piacere di parlare con Maria Rosaria La Morgia, giornalista e presidente dell’Associazione “Il sentiero della Libertà”.

Che cos’è il Campo di internamento di Sulmona? Quando è nato e che scopo aveva durante la guerra?

Nella frazione di Fonte d’Amore, che dista circa 5 Km da Sulmona esiste tuttora il campo di concentramento, costruito inizialmente per rinchiudervi i prigionieri della Prima Guerra Mondiale, riutilizzato durante la seconda. Vi sono ancora le baracche con i graffiti lasciati dai militari. Vi furono reclusi austriaci, ungheresi, cechi, rumeni, bosniaci, polacchi, sloveni e tedeschi. Venivano impiegati per svolgere lavori agricoli, di rimboschimento, di manutenzione stradale. Nel 1918 erano poco più di 8.000.

Le condizioni di detenzione erano difficili: drammatiche le condizioni di vita dei reclusi. Diverse centinaia morirono a causa della “spagnola”, la pandemia che uccise milioni di persone in tutto il mondo tra il 1918 e il 1920.  Durante la Seconda guerra mondiale il campo, segnalato col numero 78, fu adibito alla detenzione dei prigionieri anglo-americani, catturati prevalentemente nella campagna d’Africa. Ve ne furono reclusi oltre 3000. Alcuni di loro ce ne hanno lasciato testimonianza in libri di memorie.

Donald Jones, nel suo Fuga da Sulmona lo descrive con queste parole: «…era di forma rettangolare, circondato da un alto muro di pietra e, come se questo non fosse stato sufficiente, le autorità italiane avevano cementato cocci di vetro rotto in cima al muro e avevano aggiunto due alti recinti di filo spinato lungo il perimetro. […] Il campo era diviso in cinque reparti: uno per gli ufficiali, uno per i sergenti, gli altri tre per gli altri ranghi. […] Grazie al regolare invio dei pacchi della Croce Rossa, che si aggiungevano alle insufficienti razioni italiane, sopravvivemmo nel periodo tra l’ottobre del 1942 e il settembre 1943, a Sulmona ed eravamo in buona salute».

Poi arrivò l’8 settembre e qui si apre una pagina importante di storia che coinvolge la popolazione civile. Prima che i tedeschi s’impadronissero del campo i prigionieri riuscirono a fuggire e trovarono accoglienza in montagna, nelle campagne, e a Borgo Pacentrano, quartiere storico di Sulmona. 

Incontrarono donne e uomini che rischiarono la propria vita per aiutarli. Quelli che furono ricatturati furono deportati in Germania, ma ci fu qualcuno che riuscì a fuggire dal treno, come Sam Derry.

Il Campo di Sulmona oggi.

Dopo l’8 settembre 1943 Campo 78 diventa, dunque, un punto di fuga, come narrato da molte testimonianze. E molti prigionieri furono aiutati nell’attraversare la Maiella per raggiungere il fronte e l’esercito alleato. L’Associazione Il Sentiero della Libertà è impegnata da oltre 20 anni su queste tematiche, ci dici qualcosa in più?

Come giustamente ricordi i prigionieri furono accolti e aiutati nella traversata e molti di loro non dimenticarono mai quell’esperienza. Ne scrissero in libri di memorie e molti tornarono in Abruzzo per ritrovare chi li aveva aiutati. A metà anni ’90 fu un’organizzazione di ex prigionieri a sollecitare la traduzione dei volumi e la ricerca dei protagonisti di quegli anni.

Tutto ebbe inizio in una scuola, il Liceo Fermi, dove si mise all’opera un gruppo interdisciplinare di docenti e studenti promosso dal preside Ezio Pelino e coordinato da Mario Setta, che insegnava storia. Portarono alla luce una pagina di storia sconosciuta fino ad allora, che poi alcuni storici definirono resistenza umanitaria. Mario Setta ne è stato uno studioso attento e appassionato. Un lavoro di approfondimento e di divulgazione proseguito dall’Associazione Il Sentiero della Libertà.

Dall’oblio sono emersi i nomi del pastore Michele Del Greco fucilato a Sulmona il 22 dicembre del 1943 per aver aiutato una cinquantina di prigionieri, della sarta Iride Imperoli che fece la staffetta tra il capoluogo peligno e Roma per portare i messaggi dei prigionieri all’organizzazione che si occupava di loro in Vaticano.  E di Maria Di Marzio che non ebbe paura dei fucili puntati contro di lei dai tedeschi. Riuscì a salvare la vita dei prigionieri che aveva fatto nascondere in un pagliaio dietro casa. E ancora quelli di Mario Scocco e Roberto Cicerone, che erano a capo dell’organizzazione di Sulmona. Ed è tornata alla luce la storia di Carlo Azeglio Ciampi, che trovò rifugio prima a Scanno e poi a Sulmona da dove partì per fare il sentiero della libertà con l’aiuto delle guide del posto.

Dal 2001 l’Associazione organizza una marcia che ripercorre quella traversata che sale sulla Maiella, a Guado di Coccia, per scendere verso Palena e Taranta Peligna e raggiungere Casoli. La stessa che racconta Ciampi nel suo diario e che noi torneremo a fare dal 21 al 23 aprile di quest’anno con il Freedom Trail. Stiamo lavorando a “segnare” il cammino anche con alcuni cartelli storici per chi volesse percorrerlo da solo. La memoria va tenuta viva sempre. 

Quando si parla di Seconda Guerra Mondiale e Olocausto si pensa immediatamente a luoghi come la Germania e la Polonia, dimenticando che ci sono state violenze anche in Italia, spesso a due passi da casa. Quanto è importante riportare la storia di questi campi, se possiamo chiamarli così, minori?

La storia dei campi di concentramento abruzzesi è molto importante e significativa. A lungo è rimasta sconosciuta, solo negli ultimi anni numerosi storici la stanno ricostruendo e approfondendo. La nostra regione aveva 15 campi di concentramento fascisti e decine di località di internamento libero. Era stata scelta perché isolata, poco politicizzata, insomma una regione ritenuta tranquilla. Nei campi fascisti c’erano ebrei, oppositori politici, stranieri ritenuti pericolosi per il regime, rom, omosessuali.

Come dicevo per molto tempo di questa storia non si è parlato, c’è stata una sorta di rimozione delle colpe e delle responsabilità dell’adesione al fascismo. Michele Del Greco fu condannato dal tribunale militare tedesco ma denunciato da spie locali, fasciste. E furono italiani quelli che portarono i tedeschi a casa di Maria Di Marzio. Solo per fare qualche esempio di storie che fanno parte di quella resistenza civile che abbiamo citato prima.

La memoria ha un grande valore nella costruzione del futuro, ma occorre consapevolezza storica, coscienza delle diverse responsabilità. 

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Classe 1990, Pescarese di adozione. Attivista transfemminista e co-fondatrice del Collettivo Zona Fucsia, si occupa da sempre di divulgazione femminista. È speaker radiofonica e autrice in Radio Città Pescara del circuito di Radio Popolare con il suo talk sulla politica e attualità "Stand Up! Voci di resistenza". Collabora nella Redazione Abruzzo di Pressenza. È infine libraia presso la libreria indipendente Primo Moroni di Pescara e operatrice socio-culturale di Arci.

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