Mancano pochi giorni a PONTINVISIBILI, il workshop pensato per la prima tappa dei nostri PERCORSI che attraverseranno la stagione 4.0 di Bearslicious. Sarà un momento di incontro e di confronto per discutere insieme di temi universali come l’isolamento e la disumanizzazione, cercando, com’è nella nostra mission, di coinvolgere le molteplici realtà lgbti nell’ottica di inclusione e condivisione che da sempre ci caratterizza.
Ad ospitarci nel capoluogo lombardo sarà l’Associazione IL GUADO, gruppo di riflessione e confronto su fede e omosessualità guidato dal presidente Luciano Ragusa.
IL GUADO ha una storia che attraversa oltre tre decenni, e considerando il difficile rapporto tra religione e omosessualità, spesso controverso, discusso e vissuto con scetticismo o pregiudizio, abbiamo pensato di dare voce ad una realtà molto viva da un punto di vista culturale e perfettamente inserita nel contesto lgbti.
A parlarcene è Gianni Geraci, storico componente del gruppo e membro del consiglio direttivo, che si occupa soprattutto della gestione della sede in via Soperga 36.
“Il Guado è nato il 20 dicembre 1980, quindi ha una storia di lungo corso. Tutto parte da una lettera che Giovanni Dall’Orto scrisse sul finire del 1979 su una rivista cattolica chiamata La Rocca, in cui lamentava di essere omosessuale” ci racconta Geraci “e di non trovare risposte adeguate da parte della Chiesa cattolica. In quel periodo in realtà stava svolgendo il servizio civile a Torino, e proprio lì conobbe una persona importante per il Guado, Ferruccio Castellano, un impiegato omosessuale e cattolico. Una volta conosciutisi, con altre persone organizzarono, nell’estate del 1980, un campo studio presso una struttura della Chiesa Valdese ancora esistente, Agape. I partecipanti al campo di Agape che vivevano nella zona di Milano decisero di incontrarsi e, grazie a Giovanni Dall’Orto, entrarono in contatto con don Domenico Pezzini. Si rividero il 20 dicembre de 1980 e cominciarono a incontrarsi regolarmente per pregare insieme e studiare la Bibbia. Don Pezzini lasciò nel 1983 e il gruppo cominciò a muoversi in maniera autonoma dandosi una struttura, uno statuto e facendosi registrare come associazione. Per un po’ di anni è stato ospite della Chiesa Valdese di Milano, poi del Centro di Cultura Gay CIG, e dall’88 ha una sede autonoma, che è quella dove siamo ora.”
È da quel momento che il gruppo ha cominciato ad assumere le caratteristiche che ha adesso?
Sì, a quel punto la struttura del gruppo si era abbastanza solidificata e il gruppo ha cominciato a camminare con le proprie gambe, strutturandosi su due incontri mensili e affrontando temi collegati a discorsi tra fede e omosessualità, proponendo cene sociali con lo scopo di finanziare il gruppo, e poi a ospitare una serie di realtà, alcune legate alla nostra esperienza e altre meno.
Quali attività svolge Il GUADO?
Io dico sempre che più di pensare al Guado come un gruppo, ha senso pensarlo come una porta aperta. Chiunque voglia può venire senza colloqui preliminari, c’è un programma che viene distribuito a tutti e chi vuole partecipa alle attività che gli interessano. L’idea è quella di offrire un posto in cui chi vuole vivervi delle esperienze le può vivere liberamente. Ci incontriamo e discutiamo dei temi più disparati.
Avete iscritte di sesso femminile?
Il discorso “donne” è complicato. Abbiamo avuto iscritte donne lesbiche ed eterosessuali, ma sono sempre state molto poche. Si sentivano particolarmente isolate. Alla domanda sul come mai, posso dirti che secondo me una donna lesbica, per ragioni diverse, si riconosce più nell’universo femminile che in quello degli omosessuali di sesso maschile. Ad esempio ospitiamo un gruppo di lesbiche credenti che fa degli incontri presso la nostra sede.
Il vostro gruppo è composto esclusivamente da omosessuali cattolici o c’è spazio anche per altre confessioni religiose, magari cristiane protestanti?
Ma guarda, Il guado si configura come gruppo di confronto su fede e omosessualità, non è un gruppo di omosessuali credenti. Abbiamo avuto soci e consiglieri non credenti, e soci e consiglieri non omosessuali. È un gruppo in cui si cerca di approfondire la tematica della condizione omosessuale e quella della fede dell’uomo a 360
gradi. Abbiamo realizzato incontri sugli argomenti più disparati dal punto di vista religioso. È banale in questo caso parlare di islam e buddismo, non ti dico neanche il protestantesimo proprio perché è una realtà con la quale lavoriamo insieme, soprattutto con la Chiesa Valdese di Milano e la Chiesa Battista, ma abbiamo fatto incontri anche sulle religioni dell’antico Egitto e omosessualità o sulla cultura etrusca e omosessualità. Si tratta quindi di un percorso soprattutto culturale alla portata di tutti.
Attualmente il gruppo com’è composto?
Attualmente il gruppo è frequentato da un 40% di cattolici, un 30% di cristiani di altri denominazioni e poi un 30% di atei.
Avete mai registrato tra i vostri iscritti episodi di discriminazione all’interno della chiesa, o anche ad opera di altri omosessuali?
Ma sai, il nostro gruppo è molto consolidato, magari uno dei difetti che ha è proprio questa staticità. Tra di noi episodi di quel tipo non esistono più, nel senso che ognuno è abbastanza riconosciuto e riconoscibile come omosessuale e come credente, ci sono persone che ci contattano o che ci scrivono per raccontare un po’ di tutto, ad esempio episodi in cui sono stati discriminati perché omosessuali all’interno della chiesa ma anche all’interno di altre confessioni cristiane, o omosessuali che lamentano una discriminazione interna alla comunità lgbt. Io però ho l’impressione che al di là del fatto che certe discriminazioni ci siano, spesso sono dovute ad aspetti di altro tipo.
Ad esempio?
Ti porto l’esempio di un ragazzo che si lamentava del modo in cui veniva trattato al CIG in quanto credente. Probabilmente. però, certe parole di disprezzo derivavano non dal fatto che fosse credente, ma che fosse nascosto in quanto credente e aveva fondamentalmente una doppia vita. Noi, questo “abitare la contraddizione” adesso lo sentiamo molto meno, ma era uno dei punti fondanti con cui è stato concepito Il Guado. La grande scommessa è quella di far diventare un elemento di crisi un’opportunità. È la dimensione ecumenica che deve avere un gruppo di
omosessuali credenti.
Si riferisce al fatto di vivere la fede come una ricchezza e non una limitazione?
La cosa è un po’ diversa. Io credo che la fede possa essere sia liberante sia alienante. Chiariamoci: la fede in sé non è liberante sempre o alienante sempre, può essere sia una cosa che l’altra. C’è una cartina al tornasole che può far capire se diventa alienante o liberante, lo si può cogliere nel momento in cui uno si accorge che man mano che cammina all’interno di questa dimensione di fede diventa sempre più autonomo. A questo punto la fede è sicuramente un’esperienza liberante e una grande opportunità. Se invece si diventa sempre più dipendenti del gruppo o della comunità di cui si fa parte, allora la fede si fa alienante perché toglie la libertà. Non me la sento di dire che la fede sia una ricchezza sempre. La fede può essere una ricchezza.
Questa sua frase mi fa pensare ad Alessandro, il ragazzo siciliano membro di una Chiesa Evangelica che ha dichiarato di essersi “liberato” dall’omosessualità. Nel vostro gruppo vi è mai capitato di aver accolto omosessuali in preda ad una crisi interiore proprio per il loro essere gay e credenti?
Sì, certo. Lasciami prima spendere due parole su Alessandro però. Parlare di omosessualità e guarigione a 18 anni, quando la sessualità a quell’età è una dinamica piuttosto fluida, lo trovo prematuro. Io appartengo a una generazione diversa, ho cominciato ad avere consapevolezza del mio essere omosessuale a 25 anni, quindi sono stato particolarmente tardo. Quanto al gruppo sì, abbiamo avuto esperienze di questo tipo. C’è chi ci ha seguito ed è rimasto, chi invece è andato via. Al momento c’è un nostro socio che ci ha raccontato di essersi innamorato di una donna. Quando mi ha chiesto consiglio gli ho detto “Sei veramente innamorato”? È a quel punto che “lei” diventa oggetto della libido. Con le terapie riparative ho un rapporto un po’ avvelenato, una cosa che posso dire con certezza è che non ho conosciuto nessuno che ha cercato di curare l’omosessualità e che ne è guarito. Conosco qualcuno che si è sposato ma che non ha seguito nessuna terapia riparativa. L’importante è vivere assecondando la propria serenità.
Quindi possiamo dirlo ufficialmente: è possibile essere gay e credenti.
Ti dirò,conosco diversi cattolici che vivono l’omosessualità come una realtà che non entra in dialogo con gli altri aspetti della vita, ma direi che il problema non è quello di eliminare l’omosessualità ma di aiutarli a vivere bene questa condizione. Questo non vuol dire darsi al libertinaggio, essere single o avere una relazione di coppia. Significa fare tutte queste cose fatte con consapevolezza.