Dopo la puntata di Presa Diretta, andata in onda lunedì 15 Marzo 2021 sul processo Rinascita Scott, Riccardo Iacona e i suoi colleghi sono stati attaccati dal Coordinamento delle Camere penali calabresi. Se prima l’imputata era la ‘Ndrangheta, ora viene chiamato a rispondere alle accuse il giornalismo d’inchiesta, colpevole di aver mandato in prima serata […]
Dopo la puntata di Presa Diretta, andata in onda lunedì 15 Marzo 2021 sul processo Rinascita Scott, Riccardo Iacona e i suoi colleghi sono stati attaccati dal Coordinamento delle Camere penali calabresi. Se prima l’imputata era la ‘Ndrangheta, ora viene chiamato a rispondere alle accuse il giornalismo d’inchiesta, colpevole di aver mandato in prima serata un reportage su un processo conosciuto a pochi.
Penalisti vs giornalismo
I penalisti attaccano: «Non ci sorprende più che il tribunale del popolo, imbastito abilmente dall’inchiesta giornalistica, si sia espresso per mezzo della televisione pubblica. Attraverso la capziosa e partigiana rappresentazione di un processo è stata rivendicata la necessità che gli “orpelli” del diritto processuale penale siano smantellati attraverso una scenografica rappresentazione delle istanze punitive della pubblica accusa».
Lunedì scorso, un milione e quattrocentosedicimila italiani sono venuti a conoscenza di alcuni aspetti, se non completamente, di una delle vicende giudiziarie più importanti della storia italiana. Vicenda «la cui narrazione – ha ricordato l’Unci, Unione dei Cronisti italiani– è stata sin qui rassegnata al lavoro solitario ed encomiabile di pochissimi cronisti e testate calabresi», anche a causa delle limitazioni inizialmente imposte dal Tribunale di Vibo Valentia alle riprese in aula.
La squadra di Rai 3 ha avuto l’onere e l’onore di parlare del Maxi processo alla ‘Ndrangheta e dei suoi imputati. Per tutta la durata della trasmissione, Iacona infatti non ha mai parlato di condannati ma ancora una volta la giurisprudenza italiana ha deciso di non congratularsi con il giornalismo d’inchiesta bensì di attaccarlo ed ostacolarlo.
Nel nostro paese accade più volte di quante si possa immaginare e il copione è sempre lo stesso. Come quando è accaduto con Mafia Capitale, nel momento in cui i giornali hanno iniziato a fare i nomi di chi comandava Roma e di tutti coloro che facevano affari con i clan presenti nella capitale.
La mafia teme la libera informazione
Il vero problema è che tutto ciò giova alla mafia. Carmelo Vasta, pregiudicato di Ostuni incarcerato a Fossombrone, ha rivelato come i mafiosi abbiano più paura del giornalista che del magistrato giudicante, perché considerano l’articolo di giornale come una sentenza che va a danneggiare gli affari che, molto spesso, si svolgono al confine fra lecito e illecito.
Le informazioni hanno il potere di fare aprire gli occhi ai lettori, cittadini che possono tornare a riflettere, ad analizzare la società in cui vivono. Sono articoli che rendono la mafia impopolare o almeno provano a demitizzarla. Il monitoraggio costante del territorio da parte di un buon giornalista è una spina nel fianco della mafia e di tutti i suoi complici, così come raccontare quello che avviene all’interno delle aule di tribunale e tutte le ripercussioni che vi sono al di fuori.
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