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Premio John Fante: UVASPINA di Monica Acito (Bompiani) | Recensione


All’interno del Festival John Fante “Il Dio di Mio Padre” è presente l’ambito premio “Opera Prima” dedicato a scrittrici e scrittori emergenti del panorama italiano. La nostra redazione vi donerà la recensione dei tre libri finalisti. Nella giornata del 24, a Torricella Peligna, avverrà la premiazione.

Primo libro letto e recensito per voi è Uvaspina di Monica Acito edito da Bompiani.

LA TRAMA:


È nato con una voglia sotto l’occhio sinistro, come un pallido frutto incastonato nella pelle: Uvaspina si è abituato presto a essere chiamato con quel nome che lo identifica con la sua macchia. A quasi tutto, del resto, è capace di abituarsi: a suo padre, il notaio Pasquale Riccio, che si vergogna di lui; alla Spaiata, sua madre, che dopo aver incastrato Pasquale Riccio con le sue arti di malafemmina e chiagnazzara non si dà pace di aver perduto il proprio fascino e finge di morire ogni volta che lui esce di casa. Ma soprattutto Uvaspina è abituato a sua sorella Minuccia, abitata fin da bambina da un’energia che tiene in scacco il fratello con le sue esplosioni imprevedibili, le ripicche, la ferocia di chi sa colpire nel punto di massima fragilità, come quando gli dice: “Avevano ragione i compagni tuoi, sei veramente un femminiello.” Eppure, solo Uvaspina conosce l’innesco che rende la sorella uno strummolo, una trottola capace di ferire con la sua punta di metallo vorticante. E solo Minuccia intuisce i sogni di Uvaspina, quando lo strummolo la tiene sveglia e può scrutare i suoi finissimi lineamenti nel sonno. Intorno a loro, Napoli: la città dalle viscere ribollenti, dai quartieri protesi verso il cielo, dai tentacoli immersi in quel mare che la fronteggia e la penetra. È proprio sul confine tra la città e il mare, tra la storia e il mito, che Uvaspina incontra Antonio, il pescatore dagli occhi di colori diversi, che legge libri e non ha paura del sangue, che sa navigare fino a Procida e rimettere al mondo un criaturo che dubita di se stesso. La purezza del loro incontro, però, non potrà nascondersi a lungo nelle grotte di Palazzo Donn’Anna: la città li attira a sé, lo strummolo gira e il suo laccio unirà per sempre i loro destini. Una passione assediata dallo scherno e dallo scuorno. L’ambiguità dell’amore fraterno, la necessità dell’ombra perché ci sia luce. Infine una scrittura, quella della giovane Monica Acito, che sa inserirsi con originalità in una grande tradizione letteraria e, mescolando la forza tellurica del vernacolo alla freschezza di un racconto sulla giovinezza, invoca la fame di felicità che abita ciascuno di noi.

LA RECENSIONE:

Questa è la prima volta in assoluto che leggo un libro dove il protagonista è essenzialmente un femminiello napoletano. Uvaspina si chiama così a causa di una piccola protuberanza sotto l’occhio che lo caratterizza. Uvaspina è il risultato di una vera e propria trasformazione identitaria. Carmine, il ragazzino napoletano, cresce nel libro mostrandoci chiaramente l’affermazione di sé stesso. Attorno a lui la famiglia Riccio priva di qualunque strumento “intellettuale” per includere Uvaspina nel proprio diagramma familiare. Serpeggia nel romanzo la “respingenza” familiare nei confronti di una persona dichiaratamente queer. Prima tra tutte la sorella Minuccia, dapprima simbionte e amatissima da Uvaspina, poi trasformatasi in strummolo (grossa trottola con l’anima di metallo) rigida e crudele con quel fratello che cerca sostanzialmente di esistere accettando ogni aspetto di sé.

Sicuramente è encomiabile la descrizione puntuale di questa famiglia partenopea circonfusa di una ritualità di strada ed ingabbiata nella dittattura delle malelingue nelle stereotipie binarie. Questo romanzo si legge in un “sol boccone”. Acito scrive molto bene trasportandoci per i vicoli di Napoli. Ha assoluta padronanza di linguaggio e una stupenda propensione all’ironia. Cercando il pelo nell’uovo mi sento di affermare che Acito, controllando benissimo il testo, arriva a controllare troppo anche i personaggi fornendo al lettore anche la propria visione sugli stessi. Sicuramente consiglierei questo libro a giovani lettrici e lettori, ma anche a qualche Vannacci o Pillon di turno.

Quel ragazzo aveva nelle corde vocali una sapienza che pareva nascere dal fondo del mare, che splendeva nei suoi occhi diversi e nel suo sorriso cotto dal sole, come fosse lì da migliaia di anni. Era l’unico che faceva entrare nella vita insozzata di Pasquale Riccio, che conosceva solo il catrame e lo scuorno e i fatti da acconciare, il soffio pulito del mare che nutre, che cura, che inghiotte ma trasforma anche la morte in leggenda.

Uvaspina di Monica Acito
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Di origine Abruzzese, ma ramingo come un nomade. Di molteplici interessi ogni sabato su Bl Magazine con la rubrica BL LIBRI.

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