UNSANE (2018), film girato interamente con un Iphone 7 Plus in un vero ospedale abbandonato, conferma l’ecletticità registica di Steven Soderbergh. Un thriller teso che guarda con realismo alle vittime di stalking.
Sawyer Valentini, vittima di uno stalker, ha deciso di cambiare città, lavoro e vita. Nonostante questo ella si sente costantemente minacciata e non riesce a vivere davvero. Decide così di rivolgersi a una dottoressa presso l’Highland Creek Behavioural Center. Il consulto psichiatrico finisce per realizzarsi in una degenza forzata. Ma proprio tra le mura della clinica, Sawyer è convinta che ci sia il suo stalker sotto le mentite spoglie di un assistente. Sarà vero o è solo frutto delle sue paranoie?
Grazie alla maneggevolezza del mezzo, UNSANE è stato girato in sole due settimane, basato sull’avvincente sceneggiatura di Jonathan Bernstein e James Greer. L’utilizzo dello smartphone conferisce al tutto una sorta di realismo (potremmo dire documentaristico) e ci porta a seguire la protagonista della vicenda quasi fossimo al suo fianco e rendendo la sua ansia e le sue paranoie tangibili, conoscibili.
Claire Foy in una scena tratta da UNSANE (2018)
Merito di questo va dato soprattutto alla splendida performance di Claire Foy (vincitrice nel 2017 di un Golden Globe per il suo ruolo drammatico nella serie Netflix “THE CROWN“), capace di conferire tutta una gamma di emozioni al suo personaggio che lo rendono tridimensionale. La sua Sawyer è vittima tre volte: dello stalker che la ossessiona, delle applicazioni e di quello smartphone cui affida la sua vita, la sua intimità; e poi di un sistema che più che al benessere dei suoi pazienti pare essere interessato al solo guadagno.
Ma Soderbergh pone l’accento proprio sulla difficoltà delle donne a essere ascoltate, credute, ma sopratutto supportate in situazioni similari a quella della protagonista di UNSANE. Spesso autorità competenti minimizzano le parole delle vittime di stalking e quando intervengono è quasi sempre troppo tardi. Ed è quanto accade alla donna del film che non viene ascoltata e anzi viene portata a credere di essere davvero pazza. Un po’ come accadeva alla Elisabeth Moss nel thriller/horror L’UOMO INVISIBILE (2020).
Sicuramente il film presenta maggiore solidità nella prima parte, restando sempre in bilico tra stati di allucinazione/sogno e realtà, pone sotto una luce ambigua i volti e le azioni dei protagonisti e comprimari. Nella seconda parte la tensione accumulata esplode in una serie di scene davvero ben riuscite e ponendo la donna dinanzi alle sue paure in un crescendo di orrore e sgomento. Se il finale ricorda per certi versi MISERY NON DEVE MORIRE (1990) è un piccolo smacco perdonabile che vuole sottolineare come da certi traumi sia davvero impossibile uscire illesi.
Ossessionato dal trovare delle costanti nelle incostanze degli intenti di noi esseri umani, quando non mi trovo a contemplare le stelle, mi piace perdermi dentro a un film o a una canzone.
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