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Riforma europea diritto d’autore: l’ennesimo regalo alle lobby

- 27/03/2019
riforma diritto d'autore


Quest’oggi parliamo di una modifica, approvata ieri, 26 Marzo 2019, relativa al diritto d’autore, dando così seguito ad un precedente articolo pubblicato, sempre sullo stesso argomento

Verrebbe naturale chiedersi perché la modifica della tutela del diritto d’autore possa coinvolgere, a seguito di questa modifica ed approvazione, gli utenti di qualsiasi social media.

Con l’approvazione, avvenuta nella giornata di ieri, della Direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico digitale si è cercato di dare delle regole maggiormente cautelative per prevenire la pubblicazione non autorizzata di tutti qui contenuti, che siano frasi, foto o altro, protetti da copyright.

A tale scopo, sono stati modificati numerosi articoli della precedente regolamentazione e proprio la modifica degli articoli 11 e 13, di cui al precedente post, potrebbe comportare una vera e propria rivoluzione anche nella pubblicazione sui social network dei predetti contenuti.

Nonostante i buoni propositi, questa rivoluzione normativa non è stata bene accolta da molti operatori nel settore.

Molte organizzazioni, operanti in vari ambiti quali quelli dei diritti umani e digitali, degli sviluppatori di software e dei fornitori di servizi internet, hanno firmato una lettera di opposizione alla proposta legislativa.

I sostenitori della riforma sono, invece, gli editori, le grandi etichette musicali, società degli autori, giornalisti, autori, creatori ed artisti.

A seguito di questo forte e netto contrasto, il contenuto degli articoli 11 e 13 è stato modificato. In che modo?

I nuovi articoli 11 e 13

È stata approvata la facoltà, e non l’obbligo come previsto in precedenza, riconosciuta ad alcuni editori di accordarsi con le diverse piattaforme per farsi pagare per l’utilizzo dei loro contenuti. Saranno le suddette piattaforme, lo sono ad esempio Facebook e Youtube, a dover controllare e vigilare sulla pubblicazione di materiale sottoposto a copyright.

Essendo pendente su di loro il dovere di controllo e vigilanza, non saranno gli utenti a dover pagare in caso di violazione ma le piattaforme che dovranno pagare i contenuti prodotti da artisti e giornalisti.

Sono esclusi da qualsiasi forma di controllo e vincolo tutte le enciclopedie on line (come Wikipedia, ad esempio) e le piattaforme che consentono la condivisione di software open source.

Le condivisioni potranno ancora essere effettuate ma con dei limiti ben precisi poiché si potrà pubblicare il collegamento ipertestuale ma non si potranno pubblicare foto oppure brevi presentazioni degli articoli.

Gli artisti ed i giornalisti che vedono ripubblicate le proprie opere ed i propri articoli avranno diritto ad un aumento della retribuzione percepita tenuto conto di quanto l’utilizzo della loro opera avrà incrementato i guadagni delle piattaforme che li hanno utilizzati.

Fortunatamente, le modifiche apportate sulla spinta di tante associazioni hanno limitato le conseguenze che gli utenti avrebbero potuto patire se la direttiva fosse stata approvata come prevista in origine.

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Il Parlamento europeo

Una direttiva senza cognizione di causa

(a cura di Valerio Gigante)

Mentre sulla carta l’intento di questa direttiva sembra nobile e in parte necessario, è ben chiaro che è stata scritta senza una minima conoscenza di internet stesso. Andiamo punto per punto

È stata approvata la facoltà, e non l’obbligo come previsto in precedenza, riconosciuta ad alcuni editori di accordarsi con le diverse piattaforme per farsi pagare per l’utilizzo dei loro contenuti. Saranno le suddette piattaforme, lo sono ad esempio Facebook e Youtube, a dover controllare e vigilare sulla pubblicazione di materiale sottoposto a copyright.

In pratica, d’ora in poi, per avere condivisioni pulite degli articoli su Facebook (cioè con foto, descrizione e quant’altro) bisognerà mettersi d’accordo su Facebook che si assicurerà di pagare per questi contenuti. A tutti i giornalisti che esultano, direi di farsi però due conti con la realtà.

Quello che succederà paradossalmente è che Facebook si accorderà solo con i grandi editori e tantissime testate giornalistiche più piccole, che dovrebbero giovare della legge, non avranno invece più accesso alla condivisione piena dei contenuti su Facebook (o ti metti d’accordo o scompari tra la folla) e moriranno ignorate dagli utenti.

Questa direttiva non è un aiuto agli editori, ma ai grandi conglomerati, gli unici che possono permettersi di avere un peso tale da poter contrattare con i grandi social media.

L’ignoranza sul funzionamento tecnico del web (o forse, il lobbysmo) ha portato a creare questi articoli della direttiva senza base sulla realtà. Ma continuiamo.

Essendo pendente su di loro il dovere di controllo e vigilanza, non saranno gli utenti a dover pagare in caso di violazione ma le piattaforme che dovranno pagare i contenuti prodotti da artisti e giornalisti.

Poichè è umanamente impossibile controllare a mano tutti i contenuti pubblicati sulla piattaforma e vedere quali sono i contenuti prodotti da artisti e giornalisti, quello che succederà molto probabilmente sarà l’attivazione di un filtro alla pubblicazione sulle piattaforme. In pratica ogni volta che pubblicherete dei contenuti Facebook (per esempio) lo scansionerà, conoscerà cosa stai pubblicando e deciderà se bloccarlo.

Oltre a evidenti problemi che sorgono sulla privacy e sul rischio fortissimo di censura, si presenta la problematica dei falsi positivi.

Se vi è mai capitato di pubblicare qualcosa di Youtube, sappiate che esiste un algoritmo chiamato ContentID che controlla ogni contenuto che pubblicate e automaticamente assegna il copyright di un contenuto ad una major quando lo rileva. Nonostante sia il più avanzato sulla faccia della Terra, è famoso per essere un vero e proprio incubo.

Molti contenuti originali vengono letteralmente rubati dalle major, che si impossessano grazie all’algoritmo stesso dei derivati pubblicitari di contenuti originali o fanno rivalere copyright su musica di dominio pubblico di quasi 100 anni fa. I piccoli editori e i giornalisti non hanno quindi nulla da festeggiare e gli utenti singoli devono essere d’ora poi consapevoli che qualsiasi cosa che pubblicheranno potrà essere soggetta a copyright anche se non si tratta di una copia. E non potranno dire nulla nel nuovo internet delle major. Ma non finisce qui.

Tutte le piattaforme devono rispettare queste nuove regole, anche le più piccole (con eccezioni alquanto ridicole). Cosa vuol dire questo? Che dal punto di vista economico fare startup digitali in Europa diventa ancora più complicato, dal punto di vista dell’informazioni i piccoli non avranno certo le capacità di creare un filtro ad hoc per controllare ogni contenuto e saranno costrette o a chiudere o a “noleggiare” il filtro di Google.

In pratica d’ora poi Google controllerà ancora di più tutti i nostri contenuti e non ne potremo mai sfuggire. Un regalo paradossale a chi la direttiva pensava di colpire.

È chiaro, in tutta onestà, quindi perché nel dibattito pubblico dei media tradizionali, da una parte della politica (potete controllare qui chi ha votato a favore) questa direttiva venga raccontata come evoluta e la manna dal cielo in grado di dare il giusto a chi se lo merita. Perché la realtà è invece che soli i grandi editori in Italia come la Rai e pochi altri potranno sopravvivere.

Benvenuti nel nuovo internet delle major.

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Non faccio l'Avvocato ma lo sono. Calabra di nascita e "fiorentina" per adozione.

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