Voto 9
Siamo nell’afosa estate del 1983 quando il giovane ventiquatrenne Oliver, statunitense, giunge in Italia per il suo dottorato, ospitato dal signor Perlman, docente universitario.
Il ragazzo americano verrà accolto con curiosità e piacere da tutta la famiglia.
Soltanto il diciasettenne Elio, figlio del professore, pare restare sì affascinato ma in principio quasi ostile. In realtà la sua è soltanto una forma di difesa e col passare dei giorni le diffidenze iniziali muteranno per liberarsi e rivelarsi.
Luca Guadagnino, qui alla sua quinta regia dopo le ottime critiche ottenute per le sue due opere precedenti “IO SONO L’AMORE” (2009) e “A BIGGER SPLASH” (2015), torna a indagare sulle irragionevolezze del cuore.
Guardando ai grandi classici e ai maestri del cinema del passato, egli ci riporta una sua linea stilistica ormai consolidata, costruendo un film quasi perfetto meritatamente candidato a Miglior Film per i prossimi premi oscar 2018.
Affidandosi all’esperienza e all’eleganza formale di James Ivory ( regista per altro di titoli come “CAMERA CON VISTA”, 1985; “CASA HOWARD”, 1991; “QUEL CHE RESTA DEL GIORNO”, 1993 ) che qui firma la splendida sceneggiatura tratta dall’omonimo romanzo di André Aciman ; Guadagnino ci riporta all’età della giovinezza e della scoperta del sé.
Tra paradisiache e rigosliose campagne lombarde, in prossimità e dentro le piscine e i laghi, che raffreddano e temperano i desideri cocenti sulla pelle scottata dal sole; nelle tante stanze di una villa d’epoca; i due ragazzi si studiano, si osservano, si cercano per poi allontanarsi, si sfiorano con imbarazzo; uno guarda l’altro con gelosia mentre danza con una ragazza; uno ascolta incantato l’altro suonare un pezzo di Bach al pianoforte. Nei giorni che si inseguono e corrono ora lenti e ora veloci, i due ragazzi si comprendono, si riconoscono come animi affini, seppure provenienti da realtà così distanti tra loro; sono come calamite, come forme che vanno a scontrarsi per sciogliersi e contaminarsi, unendosi e mischiandosi, per sempre.
I moti dell’animo, le inquietudini, le volontà e le mollezze del cuore espresse e non, sono sottolineate e sublimate da una colonna sonora incantevole che accarezza e impreziosisce ogni scena, innalzando ogni fotogramma a qualcosa di ideale e di perfetto, che fa bene all’anima. Tra brani di Loredana Berté e Marco Armani e Franco Battiato che ci riportano alla nostra vecchia Italia, ecco spuntano le musiche e la voce evocativa di Sufjan Stevens (candidato il suo brano “Mistery Of Love” a Miglior Canzone) che chiude anche il film con la malinconica “Visions Of Gideon”.
E a dar corpo e anima a questo sentimento che via via prende coscienza e che dagli abissi dell’inconscio viene a svelarsi come un bronzo rinvenuto nelle profondità del mare (una delle scene più evocative del film) , ecco spiccare la distratta bellezza e lo sguardo sfuggente del bravo Armie Hammer ( vedi anche “THE SOCIAL NETWORK”, 2010 e “J. EDGAR”, 2011 ).
Ma è sopratutto la prova attoriale del giovanissimo Timothée Chalamet a soprendere e a restituire buona parte della poesia del libro. Giustamente candidato all’oscar come Miglior Attore Protagonista, Timothée è un corpo che sa parlare, ha la sfrontatezza e tutta l’irrequieta incostanza della sua età, è sempre vero in ogni capriccio o incertezza; illumina le inquadrature con la sua energia e ci spezza il cuore quando a stento trattiene le lacrime o si lascia prendere dal pianto ( il lungo primo piano dei titoli di coda ). Bravissimo.
Un film davvero intenso e grande come è l’amore, che pur sottraendosi ad alcuni passaggi del romanzo, ne rispetta l’anima più profonda, colpendo lo spettatore dritto al cuore.
Superlative le intepretazioni e la tensione narrativa in due scene in particolare: quella della pesca che diviene quasi simbolo del frutto del peccato originale e quella del confronto tra padre e figlio.
DA VEDERE!
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