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50° Anniversario delle Regioni Italiane: il vero FLOP non è la mancata celebrazione…


Passato sicuramente in secondo piano in questo nefasto 2020 è stato il cinquantesimo anniversario delle Regioni Italiane. Nel dicembre del 1970 furono istituite ufficialmente, attraverso il primo voto, le 20 regioni che ripartiscono amministrativamente la nostra Repubblica.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva pianificato celebrazioni in pompa magna.

Purtroppo gli eventi non hanno concesso le celebrazioni, ma anzi, hanno permesso un’analitica riflessione sulla loro funzione all’interno del tessuto democratico. L’emergenza pandemica dovuta dal Coronavirus ha sicuramente fatto interrogare cittadini e legislatori su tematiche puramente regionali quali le autonomie, i poteri dei Governatori e le disparita di sistema.

Ma come era amministrata localmente l’Italia prima del 1970?

Per quanto possa sembrare strano, ma nei primi anni dall’Unità d’Italia la preoccupazione maggiore del Re Sabaudo e del suo parlamento era quello di accentrare il potere, centralizzarlo nella sua persona attraverso il suo parlamento. I poteri delle vecchie autorità locali potevano essere molto pericolosi con l’avvento dell’occupazione Savoia. Nel Nord Italia, storicamente, la frammentazione  ed il cambiamento dell’acme governativo era pressoché all’ordine del giorno. Innumerevoli cambiamenti avvennero nel corso della storia dal medioevo fino alla fine dell’800. Inoltre i moti unitari della prima metà dell’800 avevano fatto sì che l’unione nazionale fosse vista di buon occhio. Dal punto di vista culturale, inoltre non esisteva alcuna identità regionale. Nel centro Italia il Granducato di Toscana aveva già mutato forma diventando territorio satellite del Regno di Sardegna. Altro discorso per l’ex regno delle Due Sicilie. L’identità regionale era fortissima. Fu Federico II di Svevia ad istituire i Giustizierati: delle vere e proprie entità territoriali circoscritte per lingua e cultura. Durarono per secoli.

Un pericolo troppo grande per i nuovi regnanti del nascente Regno d’Italia. Fu così che il neo parlamento italiano depotenziò qualunque tipo di amministrazione locale andando a foraggiare la presenza militare sabauda in tutti i municipi d’Italia. Ovviamente stiamo parlando di una Italia ancora molto rurale, poco alfabetizzata e assolutamente non democratica (potevano votare solo i maschi ultra 21enni  che avessero un minimo d’istruzione). Con l’evolversi della storia, le amministrazioni locali cambiarono tantissime volte confini. Successivamente, la Legge 20 marzo 1865, n. 2248 (chiamata anche “Legge Ricasoli“) disciplinò, tra l’altro, le funzioni di province e comuni. Le province, in particolare, si configurarono come “sede di decentramento dell’amministrazione centrale“, con a capo, però, il Prefetto, avente il compito di verificare la rispondenza degli atti provinciali e comunali alle leggi statali. In seguito, il Regio decreto 10 febbraio 1889, n. 5921, e le leggi 21 maggio 1908 n. 269 e 4 febbraio 1915, n. 148 (chiamati i “Testi unici delle leggi comunali e provinciali“) garantirono un margine un po’ più ampio di decentramento amministrativo. La loro esistenza era per lo più logistica e legata allo smistamento della posta. Anche sotto il fascismo le identità regionali erano solo raggruppamenti congrui alla gestione dei servizi. Nessuna regione aveva il potere di legiferare in alcun modo. Soltanto con la proclamazione della Repubblica, nel 1948, diventò res centrale del dibattito politico l’amministrazione territoriale. Diverse furono le forme sperimentate: le province e le prefetture. Soltanto nel 1970 si arrivò ad attuare la Costituzione Italiana  l’Istituzione di questi organi di gestione territoriale attraverso il suffragio universale in tutte le Regioni istituite dal Parlamento e dal Senato.

Un lungo dibattito durato 22 anni sancì la proclamazione delle 20 regioni. In molti avrebbero voluto l’istituzione di regioni aggiuntive: la Romagna (province di Ravenna, Forlì- Cesena, Rimini e Pesaro Urbino), il Salento (province di Lecce, Brindisi e Taranto), l’eterna unione di Abruzzi e Molise (poi divise nel 1963) .

Come funzionano ora?

Le 20 regioni d’Italia costituiscono il primo livello di suddivisione territoriale dello Stato italiano nonché un ente pubblico dotato di autonomia politica e amministrativa sancita e limitata principalmente dalla Costituzione della Repubblica Italiana (art. 114-133). Il livello amministrativo più piccolo all’interno delle regioni è il comune. La regione Trentino-Alto Adige si distingue dalle altre 19 regioni per il fatto che il potere decisionale (molto più avanzato che nelle altre regioni) è esercitato direttamente a livello provinciale con le province autonome di Trento e di Bolzano. L’Italia introdusse le regioni nel suo ordinamento giuridico con la Costituzione della Repubblica Italiana, entrata in vigore il 1º gennaio 1948, che agli articoli 114 e 115 prevedeva infatti:

«La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni

(Costituzione italiana, art. 114)

«Le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principî fissati nella Costituzione

(Costituzione italiana, art. 115)

Il Friuli e la Venezia Giulia vennero accorpati nella regione Friuli-Venezia Giulia e l’Abruzzo e il Molise accorpati nella regione Abruzzi e Molise. Nel 1963 la regione Abruzzi e Molise venne di nuovo scorporata nelle due regioni Abruzzo e Molise portando a 20 il numero attuale delle regioni.

Soltanto nel 1970, però, si votarono le giunte regionali, entrando così, per la prima volta nel sistema dell’organizzazione della nostra Nazione.

Volontà popolare per la creazione di nuove regioni.

Negli ultimi anni diversi cittadini e politici hanno iniziato lunghe campagne per la creazione di nuove Regioni. Scopriamo dunque quali territori vorrebbero creare una vera e propria nuova identità regionale.

Partiamo da una delle regioni più piccole: il Molise. Stando ai giornali locali, la quasi totalità della popolazione under 45 vorrebbe che la regione di accorpi nuovamente all’Abruzzo. Addirittura i comuni costieri di Montenero di Bisaccia, Petacciato, Termoli e Campomarino, tutte in provincia di Campobasso hanno istituito un referendum per l’annessione alla Regione Abruzzo. Un’altra proposta, nata dai vicini di casa della provincia di Foggia, vorrebbero creare la Moldaunia (l’unione delle Province di Campobasso, Foggia e Isernia). Questa proposta è malvista dalla popolazione molisana ma presa di buon grado dalla popolazione foggiana.

Il Salento, soprattutto negli ultimi vent’anni, sta ricreando un vero e proprio vento secessionista nei confronti della Regione Puglia. Se volete approfondire l’argomento vi consigliamo questo approfondimento di Paolo Pagliaro cliccando qui .

Bandiera della Regione Salento

La Lunezia. Si tratterebbe delle unioni delle province di  La Spezia, Massa-Carrara, Parma, Piacenza, Reggio Emilia e Mantova, nonché di una parte di quelle di Cremona e di Lucca. Nasce anch’essa da un perché storico: il Ducato di Parma e Piacenza che dall’età dei longobardi aveva una esistenza propria. Clicca qui per approfondire.

Un Cinquantenario in sordina.

Quando iniziarono i primi timidi preparativi di questa celebrazione, nessuno, né il governo né gli enti regionali, avevano previsto come, prepotentemente, la storia mondiale avrebbe potuto mettere in discussione il ruolo delle regioni. La malattia pandemica del COVID-19 ha reso palesi le criticità dei nostri enti territoriali. Ogni regione, è vero, ha tentato di fare a modo proprio. I vari Governatori, in maniera molto maldestra, hanno tentato di scavalcare il governo centrale confondendo i poteri regionali. Ricordiamo tutti ad inizio quarantena la difficoltà di regolarizzare tutte le regioni. Addirittura negli ultimi mesi ci sono stati dei tentativi di autogestione messi a tacere a colpi di sentenze del TAR.

L’organizzazione regionale, così come è ora è assolutamente perfettibile. La richiesta di ulteriore autonomie di alcune mette in seria competizione le altre. La miopia politica non vede le disparità di trattamento dei medesimi cittadini italiani. Inoltre, per come dovrebbero funzionare le cose su base locale, le nostre Regioni sono troppo grandi. L’estensione territoriale e la centralizzazione nell’unica amministrazione regionale (le province furono abolite dal Governo Renzi) hanno creato dispersione dei servizi. Le aree interne di tutte le regioni hanno minor peso rappresentativo e inesorabilmente andranno a sparire.

Il sistema regionale italiano, così come è fatto ora, presenta innumerevoli problemi: gestione sanitaria inefficace, tassazioni squilibrate tra una regione ed un’altra e interi territori interni messi in via d’estinzione.

Moltissimi intellettuali e geografi e politici si stanno interrogando su come rendere più efficienti gli enti regionali. Nel corso degli ultimi quindici anni numerose sono state le proposte. Vi riportiamo una di quelle più ardite, presentata dal governo Renzi.

(Nonostante la CE abbia richiesto alle singole nazioni un sistema più capillare di gestione territoriale, l’allora governo presentò una proposta di accorpamenti che andava in totale contrasto con la volontà popolare. Fortunatamente è stata abortita dagli stessi partiti di maggioranza dell’epoca!)

Altra proposta, da non sottovalutare, è quella della Società Geografica Italiana che con un rigoroso studio dei territori, delle economie e delle culture ha più volte proposto un riordino congruo delle regioni.

È necessario ripensare l’amministrazione locale. Tracciare un nuovo percorso: chiaro e vicino ai suoi cittadini che non crei disparità e che si limiti a gestire in modo uniforme il paese Italia. Negli ultimi anni molte nazioni hanno modificato il loro sistema di gestione locale. Dalla Francia ai Paesi Bassi, dall’Argentina all’Australia. Tutte queste nazioni hanno moltiplicato gli enti regionali per aumentare la rappresentatività e per rendere più chiari e cristallini i rapporti tra potere e politica.

Seguendo l’esempio di queste nazioni abbiamo fatto un volo pindarico: abbiamo ripartito l’Italia in più regioni seguendo, non il campanile, ma la logica amministrativa!

  1. Valle d’Aosta
  2. Sabauda
  3. Cuneese
  4. Ponente
  5. Levante
  6. Risaie
  7. Maggiore
  8. Ossola
  9. Brianza
  10. Meneghina
  11. Piacentina
  12. Parmigiana
  13. Golosa
  14. Camuna
  15. Alpina
  16. Alto Adige
  17. Trentino
  18. Romantica
  19. Dolomitica
  20. Prosecco
  21. Friuli Venezia Giulia
  22. Serenissima
  23. Delta
  24. Grassa
  25. Esarcato
  26. Romagna
  27. Mugello
  28. Bojadé
  29. Etrusca
  30. Ferrosa
  31. Logudoro
  32. Barbagia
  33. Campidano
  34. Tuscia
  35. Santa
  36. Ciauscolo
  37. Ultra
  38. Marsica
  39. Citra
  40. Roma Capitale
  41. Agro Pontino
  42. Vesuviana
  43. Daunia
  44. Trulli
  45. Salento
  46. Lucania
  47. Zizzona
  48. Silana
  49. Pitagorica
  50. Aspromontina
  51. Madonie
  52. Etnea
  53. Ibla
  54. Girgentina
  55. Saline
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Di origine Abruzzese, ma ramingo come un nomade. Di molteplici interessi ogni sabato su Bl Magazine con la rubrica BL LIBRI.

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