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BEARITY POSTA: Amare… le amicizie


Se volete partecipare alla nostra posta del cuore, per confessare i vostri segreti più nascosti, anche in forma anonima, o semplicemente per chiederci consigli, l’indirizzo di posta a cui fare riferimento è redazionebearslicious@gmail.com

Il nostro Michelangelo è a vostra disposizione per fare chiarezza sui vostri sentimenti, accogliere le vostre rivelazioni o semplicemente leggere i vostri punti di vista sul mondo. Scriveteci!

 

Caro Michelangelo,

sono un assiduo lettore delle tue rubriche e vorrei sottoporre all’intelligenza e delicatezza che hai sempre mostrato finora, la situazione che sto vivendo. Mi sono da poco trasferito in una nuova città, sia per una personale voglia di cambiamento, che per stare più vicino al mio compagno. Superata una fase di assestamento, tra traslochi e nuovi lavori, direi che le cose iniziano a filarmi abbastanza lisce.

La città è stupenda, posso stare più tempo col mio Lui e anche lavorativamente ho trovato una dimensione nella quale mi sento a mio agio. Una volta sistemate (più o meno) queste cose, ho iniziato a sentire l’esigenza di coltivare nuove relazioni sociali, cosa che mi sta portando a misurarmi con alcuni limiti che mi porto dietro da tutta la vita e che ho anche troppo a lungo esitato a fronteggiare.

Sono un timido, di quelli che stanno in disparte, che parlano a bassa voce, e che aspettano che siano gli altri ad andare da lui. Non stiamo parlando di livelli patologici, sono riuscito (in parte da solo ma anche grazie al mio compagno) a prendere contatti e a trovare qualcuno con cui uscire. Dove vivevo prima, avevo (ed ancora ho), gli amici di una vita. Quelli che sono ormai la tua famiglia, quelli coi quali neanche ti ricordi più come hai fatto a socializzarci all’inizio. Non temo le relazioni umane, sono piuttosto un “impanicato da primi approcci”. Quanto più l’interazione è circostanziale, quanto più la chiacchiera è superficiale, tanto più le mie fobie sociali scatenano festini a base di pensieri paranoici. “Sono inadeguato”, “Questa cosa non interessa a nessuno”,”Quest’altra non gliela chiedo perché potrei essere invadente”, “qui non sono sicuro di aver capito quindi è meglio se non intervengo” e così via fino a cose molto più articolate che, non volermene, non condivido per pudore. E lì, alla consolle di questo rave ansiogeno, troviamo la prima tra tutte le paranoie, una delle frasi del mio linguaggio interiore che culla uno ad uno ogni mio momento di disagio: “MA IO NON SO CHE COSA DIRE!”.

Forse sto enfatizzando troppo, alla fine se trovo un aggancio e riesco a partire sono persino capace, anche se con la morte nel cuore, di parlare del tempo con una persona appena conosciuta. Diciamo però che faccio un’enorme fatica e mi sto rendendo conto, non essendo propriamente di primissimo pelo, che socializzare diventa più difficile man mano che, crescendo, i momenti di incontro diminuiscono e l’esigenza di sfruttarli al massimo si fa più pressante. Perché se passo la serata a pensare a cosa dire, per riuscire a parlare gli ultimi 20 minuti, e non ci si riesce a vedere di nuovo prima di altre due settimane, la sensazione che mi resta è quella di una vita che scorre troppo velocemente mentre io, che sono lento (lo sono in tutto), resto indietro.

 

Ciao carissimo amico di questa Rubrica e mio affezionato lettore. Non so se riesco a rendere nella mia risposta lo stato d’animo con cui sposo questa tua confidenza.

Ho ripercorso gli anni con me bambino e quei momenti in cui guardavo da lontano gli altri giocare con la gioia e la tristezza nel cuore… mi sentivo come sospeso su un filo, indeciso se avanzare o scappare lontano.

Ero un bambino che aveva voglia di giocare con gli altri, ma chissà perché, ad un certo punto mi sentii come se non avessi nulla da condividere, nulla da offrire e privo di argomentazioni. Questo mio sentimento sopraggiungeva poco prima dell’adolescenza, esattamente in quella fase della vita umana che tutti conosciamo essere un momento di tormento e di rivisitazione individuale e non solo.

Io ero un bimbo che era cresciuto con gli adulti, con una madre che gli aveva parlato sin da subito come ad un pari, e pertanto facevo fatica a rapportarmi con i miei coetanei che si esprimevano in modo diverso e avevamo una formazione, anche lessicale e di concetto, più adatta alla loro età.

Ho dovuto quindi imparare ad adattarmi al loro stile di vita e al loro modo di giocare, facendo miei, per imitazione, atteggiamenti, frasi e interessi. Ho dovuto anche sintonizzarmi sui loro desideri, gli argomenti preferiti, ciò che li faceva ridere e quello che poteva ferirli.

Ho come l’impressione che tu, oltre ad una accentuata sensibilità, abbia un livello culturale medio alto, che in alcuni casi può avere una certa rilevanza.

Una persona che interagisce muovendosi in maniera organizzata, immagino si trovi in imbarazzo davanti a chi gli presenta un modello comunicativo frastagliato, fatto di nozioni o informazioni, peraltro sconosciute, che non prevedono un vero dibattito, ma semmai dei botta e risposta.

Oggi veniamo bombardati da tutto un corollario di news inerenti personaggi famosi, trasmissioni, serie tv, musica, che rimbalzano sui social creando una rete composta opinioni che compattandosi, formano un linguaggio che riportiamo anche all’esterno,nel mondo reale. Così le nostre uscite diventano dissertazioni a mo’ di meme, gif, ansa; viene postulato un compendio relazionale che prevede pochi e precisi riferimenti, e più cose sai, più si allunga la chiacchierata.

Pare che in qualche modo la disamina di un argomento abbia lasciato il posto ad un continuo flusso di flash riepilogativi, che non ci fanno intraprendere un approfondimento e ci negano anche un’intima conoscenza dell’altro.

Intavolare delle relazioni amicali in età adulta non è impresa da poco! Abbiamo strutturato il nostro carattere e le nostre prerogative anche attraverso l’influenza reciproca data dalle compagnie con cui siamo cresciuti ed ora, ad un tratto, ci ritroviamo a dover far fronte a nuove rappresentazioni, nuove figure, partorendo una nuova messa in discussione di noi stessi.

Ho riletto più e più volte quel passo in cui, a lettere maiuscole, mi riferisci che non sai cosa dire.

Non è un problema del cosa dire. Tutto sta nell’abbracciare o no l’occasione che si sta manifestando precisamente lì e in quel momento.

Non possiamo studiare a tavolino con cosa intrattenere il nostro ospite!

L’incontro è fatto di piacevolezza, nasce spontaneo il chiedersi a vicenda a cosa si è interessati, quali cose si preferiscono e quali no. Dovrebbe essere naturale scambiarsi sensazioni ed emozioni, senza dover forzare la mano. Non è un’inchiesta.

Sarebbe bene ricordarsi che davanti abbiamo la stessa persona che probabilmente si sta ponendo le stesse domande che ci saltellano in mente: “da dove vieni” , “dove stai andando”, “chi sei”, “cosa vede in me“.

Questa è, a mio avviso, la semplificazione di quel che rappresenta il ritrovarsi faccia a faccia con lo sconosciuto . La cosa essenziale è che ci sia curiosità quando ci spostiamo verso un altro essere umano, insieme a tanta, tantissima voglia di svelarci e condividere.

Comprendo che si possa rimanere pietrificati davanti a chi è più spicciolo nell’approccio e si presta ad una colloquialità più leggera, perché ci restituisce una sorta di disinteresse e di scarsa attenzione. Ma potrebbe essere una strategia per superare un’inutile tiritera di convenevoli, magari lo scopriremo più in là.

Questo tuo disagio rappresenta quella normale forma di timidezza che esprimiamo nei confronti dell’estraneo.

Hai detto bene dicendo che non la reputi una patologia, neanche io scorgo una sociopatia latente o un’inadeguatezza galoppante!

Probabilmente sei solo una persona delicata che non desidera irrompere nella vita altrui se non è stato prima invitato. Sarà stata l’educazione ricevuta oppure è la tua indole, ma poco importa. Quel che è rilevante è che lì fuori hai un mondo vasto di relazioni da sondare e non è il caso di prendersi troppo sul serio!

Apprezzo chi come te si fa uno scrupolo in più, e si interroga su come il proprio comportamento possa ricadere sul prossimo. Ma allo stesso tempo cerca di non sentirti sotto esame o l’unico responsabile di tutta l’interazione. Non dipende tutto da te , ci sono anche altri soggetti in gioco, e tu vali la pena di essere avvicinato tanto quanto gli altri.

Per cui ci si verrà incontro, si faranno domande e si risponderà a vicenda. E se l’amicizia non va in porto come avevi immaginato, non vederlo come un insuccesso, sarà semplicemente la risultante di un esperimento che non è riuscito; elementi che non si combinavano a causa delle condizioni ambientali sfavorevoli o proprio per le qualità intrinseche degli elementi stessi.

Prendi il tuo tempo!

La tua “lentezza” può anche essere la tua risorsa : ti offre la possibilità di guardare chi ti è vicino con più accuratezza e con altrettanta scrupolosità rispondere alle sue esigenze.

Ma se ti blocchi per scongiurare le incognite o se tergiversi aspettando che le condizioni siano più confacenti, rischi ti torni indietro l’immagine sfocata di un te inadeguato e impacciato . Chiediti dunque che beneficio ne trai non invitando per primo a bere una birra o dal fare quella battuta!

Valuta cosa ti perdi se non ti sporchi un po’. Tornerai si a casa col vestito della festa immacolato, ma non ti sarai strofinato sul prato odoroso e non ti sarai abbronzato col sole, rimanendo all’ombra del tuo riparo.

E se ti porti a casa anche qualche ferita, sii felice, è stato un giorno in cui hai mischiato la tua carne con la terra.

Ti abbraccio, Michelangelo.

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Nato a Enna il 27/06/1977, ho studiato Scienze del Servizio Sociale alla facoltà di Scienze Politiche, non conseguendo la laurea. Ho lavorato come educatore presso strutture di neuropsichiatria infantile, e ad oggi  lavoro in ambito ferroviario. Amo dipingere,creare con diversi materiali, leggere i movimenti sociali. vivo nella splendida Bologna da 15 anni.

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