Loro Napoli ce l’hanno perfino nel nome. MESCALINA.
Sulla loro pagina ufficiale raccontano che sull’unica strada percorribile per arrivare in sala prove compariva la scritta ME/SCA. Ossia Melito/Scampia, nel limbo di Napoli.
Da lì a MESCALINA il passo è stato breve, ma non lo sarà altrettanto quello che li vedrà protagonisti, il 20 e il 21 dicembre, sul palco di Sanremo Giovani con Pippo Baudo e Rovazzi, a contendersi i due posti in palio per accedere al festivalone di febbraio con altri 23 giovani ragazzi (ne abbiamo parlato qui).
Il percorso di Area Sanremo, che li ha visti vincitori con “Chiamami amore adesso” è stato lungo e tortuoso, ma anche intenso e formativo. I Mescalina sono quattro ragazzi che sul palco si trasformano in performer e musicisti dall’animo incandescente: Sika classe 1988 (voce), Giancarlo Sannino classe 1988 (chitarra e sequenze), Cesare Marzo classe 1995 (basso) e Claudio Sannino classe 1997 (batteria). Sono giovani, ma hanno ben chiare le idee sulla loro musica, che suonano con sensualità e ardore. Tanto da definirsi addirittura “porno-pop“.
A raccontarci tutti i dettagli del loro progetto musicale è il vocalist del gruppo, Luigi “Sika” (nella foto in alto è il secondo da sinistra).
Siete tra i ventiquattro di Sanremo Giovani. I complimenti sono d’obbligo!
Grazie! Abbiamo cominciato davvero per gioco, pensavamo che il sistema fosse inespugnabile ma alla fine siamo approdati a Sanremo Giovani.
Che quest’anno, oltretutto, diventa qualcosa di più grande e più importante…
Esatto, è una figata pazzesca! Abbiamo cominciato “Area Sanremo” con le migliori aspettative possibili, anche perché non facciamo un genere così semplice, ma una roba abbastanza strana. Invece abbiamo cominciato a superare le audizioni una dopo l’altra. Prima quella regionale, poi l’interregionale.
E poi siete approdati a Sanremo?
Lì è stata una bella botta, da 800 siamo diventati 200. Non ci aspettavamo di passare, vista la concorrenza. I pezzi degli altri erano tutti molto orecchiabili, immediati, mentre noi non proponiamo musica propriamente pop e quindi pensavamo fosse difficile che si ricordassero di noi. Fino a che non siamo arrivati davanti a Claudio Baglioni.
Che effetto ti ha fatto?
Beh, non è qualcosa che accade tutti i giorni. Eravamo all’ultima audizione, quella in cui da 24 saremmo diventati i 6 di Sanremo Giovani. È stato uno strale nel cuore. Cantare davanti a Claudio Baglioni, che io ascolto da quando sono bambino, mi ha fatto provare un misto tra emozione, soggezione e una sensazione del tipo “terra apriti e inghiottimi”. Mi sono ritrovato davanti a una figura neanche umana, un mostro sacro.
Cos’altro vi ha riservato il percorso di “Area Sanremo”?
Le selezioni si sono articolate in cinque giorni, costellati di seminari, incontri, lezioni con maestri e compositori della CPM come Franco Mussida della PFM, famoso per aver riscritto gli arrangiamenti di De André, Vincenzo “Chinaski”, e professionisti della musica a tutti i livelli: dalla radio alla composizione ai musicisti, agli autori.
Cosa vi ha insegnato questa esperienza?
Ci siamo dovuti confrontare con i maestri, ed è stato un modo per aggiustare il tiro. Abbiamo capito che ascoltare con un orecchio “viziato” non fa rendere conto di alcune cose. Ci siamo lasciati andare e abbiamo scoperto che magari, cose che pensavamo fossero delle genialate, in realtà lasciavano a desiderare. E anche il contrario. Abbiamo imparato tanto in questo periodo, velocissimo ma non breve, che ci ha anche dato modo di ultimare l’album.
Qual è l’emozione prevalente che si prova con l’avvicinarsi di Sanremo Giovani?
La responsabilità. Dietro Sanremo c’è una macchina enorme, e il poter farne parte è una grandissima responsabilità. Stiamo cercando di rendere in tutti i modi questa esperienza utile e non perdere il focus. Poi chiaramente il pensiero fisso e il sogno ricorrente è quello di salire sul palco e cantare, con la speranza che il giorno dopo qualcuno ricordi la nostra canzone!
E se si dovesse realizzare il sogno di esibirsi a febbraio all’Ariston?
Stiamo volando, praticamente! (ride). Beh, se si dovesse concretizzare… noi ci crediamo. Questo per noi è stato l’anno della svolta. Siamo pronti, abbiamo tutto pronto da mesi. Ma se ci penso mi manca il fiato.
Il vostro brano, “Chiamami amore adesso” mi è rimasto impresso al primo ascolto. Com’è nato?
“Chiamami amore adesso” nasce una sera in cui stavamo tornando da un concerto. Solitamente dopo un live andiamo nel mio monolocale e facciamo il punto della situazione. Dopo il concerto mi era venuto in mente un loop di batteria… abbiamo acceso il software per registrare e ci siamo messi a giocare. Da lì è nato un giro di basso e abbiamo preparato il provino nella notte, all’improvviso.
È un brano molto “fisico”, e questo traspare sia dal testo che dal video. Lo vuoi presentare ai nostri lettori?
La canzone parla di una one night stand, un episodio realmente accaduto a uno di noi. Il modo in cui è stata vissuta però è stato diverso. In genere un’avventura occasionale è vista con occhio critico, spesso capita che ci si conceda a una persona che si conosce da pochi minuti e della quale non sappiamo neanche il nome. Secondo noi, però, quello è un momento di amore, vero e duro, che nasce da un amore istantaneo e un’attrazione irresistibile. Il fatto che resti poi un episodio isolato è perché capita che quando si continua un rapporto si scoprono tante piccole cose dell’altra persona che spesso fanno perdere quell’innamoramento iniziale, quella bellezza, quella magia. “Chiamami amore adesso” è stata scritta pensando ad un momento d’amore di una notte, sospeso nel tempo, irripetibile. e abbiamo deciso di raccontarlo.
Nel video si associa il sesso al cibo, come metafora di un piacere immediato destinato a consumarsi in poco tempo. E i protagonisti sono trattenuti da catene. Come mai?
L’unica allegoria possibile, per evitare di girare un video esplicito, era quella del cibo. Le catene sono mostrate perché la canzone è piuttosto claustrofobica e volevamo rendere l’idea di essere “legati” a qualcosa. Alla morale, all’etica comune, ad un modo di vedere le cose convenzionale. Abbiamo paura di liberarci completamente da tutto perché sappiamo che le catene sono la nostra sicurezza.
Ci sono, tra i 24, concorrenti che stimate o tifate?
Se pensiamo magari a chi vorremmo sul palco oltre a noi direi i Deschema (parteciperanno a Sanremo Giovani con “Cristallo”, ndr), che come noi hanno seguito un percorso tortuoso come area sanremo. All’inizio ci facevano quasi paura, hanno una bella canzone e sono bravi, poi siamo diventati amici. Li sentiamo molto vicini a noi, sono arrivati a Sanremo con le proprie gambe, senza conoscere nessuno, e sono ragazzi che credono nella musica. E suonano davvero.
Tra i concorrenti c’è anche chi ha già avuto esperienze televisive, penso a La Rua a Mahmood. Pensate che questo possa avvantaggiarli?
Non credo, per una ragione: questo non è il “festivalone” di febbraio, è una roba diversa che ha messo in moto una macchina pubblicitaria diversa. Ci saranno due serate con 12 concorrenti ciascuna e 4 pomeridiani che ci permetteranno di farci conoscere. Avremo tutti lo stesso tempo e lo stesso spazio, pertanto ce la giochiamo. Io penso che quest’anno sia la volta giusta per gli outsider, per quelli come noi. Il festival delle “nuove proposte”. Quindi no, non pensiamo di partire svantaggiati.
Voi venite da Napoli. Oltre che nel nome, in che modo esprimete la vostra “napoletanità” nella musica?
Credo che nei nostri brani ci sia il modo di “sentire” napoletano, di vivere le sensazioni. Abbiamo un modo molto “passionale” di sentire il suono, di suonare, molto centrato sull’emozione. Le chitarre così grosse, i volumi hi-fi, le dinamiche molto sensuali. Questo è quello che portiamo di Napoli nelle nostre canzoni.
Ci sono artisti ai quali vi ispirate?
Più che altro ognuno di noi si ispira al proprio background, che è molto vario. Ascoltamo molto rock anni ’90. Placebo, Muse, Skunk Anansie, ma ad esempio Claudio, il nostro batterista, viene dalla musica leggera italiana e dalla black. Giancarlo dal rock e dal jazz, Cesare dal punk rock, io dal metal, dal volume. Tutto questo ha reso le nostre canzoni particolari. Quando ascolterai l’album ti renderai conto di quanto, le nostre ballad, siano tutte molto sensuali.
Vi definite pop? Rock?
Né l’uno né l’altro, abbiamo un suono diverso. Ci hanno chiamati “porno pop” e a noi piace così!
Sul vostro canale youtube c’è anche una cover di Mina. Come mai dal “porno pop” a Mina?
Ma Mina è decisamente porno pop, lo è sempre stata! È la voce più interessante della musica italiana, una che con la sua vocalità ha sempre sperimentato tanto. Un’innovatrice. Per me è sempre stata un punto di riferimento come cantante. “Portati via” è un piccolo omaggio per lei, ci piaceva. E poi canto Mina in tonalità originale da quando ero bambino, quindi le sono affezionato.
Lasciamoci con un appuntamento: a quando il vostro primo album?
Lo stiamo terminando, pensiamo di uscire dopo Sanremo, in concomitanza col festivalone. Ascolteremo tutto e svilupperemo un concept, per scegliere quali tracce inserire.
Non mi resta che farvi il mio migliore in bocca al lupo e ringraziarvi.
Grazie a voi di BL Magazine. Mi raccomando: sosteneteci!
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