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Il Giorno del Ricordo: nelle foibe l’Italia sperimentò la cieca vendetta


Qualunque forma di violenza perpetrata nei confronti di un altro essere umano si ritrova sempre priva di ogni ideologia. Giustificarne le cause non lenisce il dolore di chi ha subito ingiustamente il vile destino del massacro.

Per anni, in Italia, il Massacro delle Foibe è stato un evento raccontato a mezza bocca. Per interi decenni l’esodo delle popolazioni Giuliane e Dalmate sono rimaste relegate in piccoli interstizi di libri. Proprio per questo fu istituito, nel 2005, il GIORNO DEL RICORDO.

Uno Stato che dimentica il proprio passato o tiene malcelato parte di esso non può considerarsi civile e, nel nostro caso, democratico.

Ancora oggi qualcuno tenta di far passare la mattanza d’italiani negli orridi del Carso come un evento divisivo e circoscritto ad una data categoria ideologica.

Al contrario, una certa parte politica, tenta d’intestarsi i morti infoibati, scendendo in una vile e sciagurata contrapposizione con le vittime dell’olocausto. Alla stregua delle tifoserie avversarie, ogni anno, assistiamo allo squallido teatrino del “Ma le foibe?”, quesito avversativo enunciato spessissimo da chi, probabilmente, collocherebbe la breccia di Porta Pia appena dopo il famoso assassinio delle Idi di Marzo o che indicherebbe il Medio Campidano tra le falangi della mano umana.

Per comprendere quello che fu l’orrore delle foibe è necessario applicare il rigore storico ed una sensibilità nei confronti dei Diritti Umani.

Tutto il resto è propagandicchia di bassissima levatura.

Il Massacro delle Foibe fu a tutti gli effetti un atto di inaudita crudeltà: la pulizia etnica di un vasto territorio.

Soltanto nell’estate del 2020, con la storica camminata mano nella mano a Basovizza del nostro Bis- Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del suo omologo sloveno Borut Phaor, siamo finalmente giunti a ripulire il Ricordo delle Foibe da qualunque invettiva ideologica che per anni aveva trasformato l’orrore in una sfumatura di una data fazione politica.

Una sciagura nazionale alla quale i contemporanei non attribuirono – per superficialità o per calcolo – il dovuto rilievo” affermò il 9 febbraio 2020 Sergio Mattarella in conferenza stampa al Quirinale, “esistono ancora piccole sacche di deprecabile negazionismo militante, ma oggi il vero avversario da battere, più forte e più insidioso, è quello dell’indifferenza, del disinteresse, della noncuranza, che si nutrono spesso della mancata conoscenza della storia e dei suoi eventi. La persecuzione, gli eccidi efferati di massa – culminati, ma non esauriti, nella cupa tragedia delle Foibe – l’esodo forzato degli italiani dell’Istria della Venezia Giulia e della Dalmazia fanno parte a pieno titolo della storia del nostro Paese e dell’Europa. Questa penosa circostanza pesò ancor più sulle spalle dei profughi che conobbero nella loro Madrepatria, accanto a grandi solidarietà, anche comportamenti non isolati di incomprensione, indifferenza e persino di odiosa ostilità. Si deve soprattutto alla lotta strenua degli esuli e dei loro discendenti se oggi, sia pure con lentezza e fatica, il triste capitolo delle Foibe e dell’esodo è uscito dal cono d’ombra ed è entrato a far parte della storia nazionale, accettata e condivisa. Conquistando, doverosamente, la dignità della memoria”.

Per comprendere a fondo il fenomeno del massacro delle foibe bisogna andarne a ricercare le radici in quella secolare contesa tra popolazione italiana e popolazione slava per il possesso dei territori di Nord-Est, quelli dell’Adriatico orientale. È una disputa che vide il suo inizio con la fine della Prima Guerra mondiale, quando il confine tra Italia e Jugoslavia venne delineato dalla cosiddetta “linea Wilson”: gli slavi videro sottrarsi una cospicua fetta dell’Istria dagli italiani e circa 500mila slavi si ritrovarono a vivere in territorio straniero, sotto il dominio di un popolo a tratti oppressore. Non è difficile quindi immaginare il malcontento che le popolazioni slave iniziarono a covare, ma ciò in cui questo si trasformò è storia di brutalità che non si può comprendere, né giustificare. Una prima ondata di violenza esplose già durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale, nel momento in cui, l’8 settembre 1943 l’Italia firmò l’armistizio con gli anglo-americani e i tedeschi assunsero il controllo del nord della penisola instituendo un governo fantoccio guidato da Mussolini. Da quel momento in Istria e in Dalmazia i partigiani jugoslavi iniziarono a rivendicare il possesso di quei territori, torturando e gettando nelle foibe i militari fascisti e la popolazione civile italiana. Con la fine della Seconda Guerra mondiale, gli attacchi si fecero via via sempre più violenti ed intensi: nella primavera del 1945, l’esercito jugoslavo guidato da Tito marciò verso i territori giuliani; l’intervento venne accolto con euforia dal popolo italiano che vide negli slavi, alla stregua di americani ed inglesi, dei liberatori. L’esercito di Tito, lungi dal voler aiutare l’Italia ed interessato solo a riappropriarsi delle zone che gli erano state sottratte alla fine della Prima Guerra mondiale, occupò invece Trieste e l’Istria, obbligando gli italiani che abitavano quelle zone ad abbandonare la propria terra.

Molti furono i cittadini che vennero uccisi dalle truppe Titine, gettati nelle foibe o deportati nei campi sloveni e croati. Gli infoibamenti si perpetuarono fino al 1947: l’esercito slavo si impadronì pian piano dell’Istria, operando una vera e propria pulizia etnica, obbligando gli italiani ad abbandonare la zona e sterminando coloro che decidevano di opporsi a tale violenza. Il massacro delle foibe iniziò a cessare solo a partire dal 10 febbraio 1947, quando la Jugoslavia riottenne le province di Fiume, Zara, Pola e di altri territori grazie al trattato di Parigi. L’Italia riuscì ad assumere pienamente il controllo di Trieste solo nell’ottobre 1954, vedendosi obbligata a lasciare l’Istria nelle mani della Jugoslavia. Le vittime dell’eccidio delle Foibe furono tra le cinquemila e le diecimila: un dato di certo molto vago, frutto del silenzio che per circa un cinquantennio ha circondato il ricordo di tale massacro. Ad essere uccisi non furono solo fascisti e avversari politici, ma anche e soprattutto civili, donne, bambini, persone anziane e tutti coloro che decisero di opporsi alla violenza dei partigiani titini. Le zone colpite furono quelle del Venezia-Giulia e dell’Istria, in cui ad oggi sono state trovate più di 1700 foibe. Il 10 febbraio del 2005 il Parlamento italiano ha deciso di dedicare la giornata alle vittime delle foibe, denominandola “Giorno del Ricordo”.

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Di origine Abruzzese, ma ramingo come un nomade. Di molteplici interessi ogni sabato su Bl Magazine con la rubrica BL LIBRI.

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