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“A Padova un Pride permanente. I gay liberi dal conformismo”: Alessandro Zan si racconta a BL Magazine.

- 17/07/2018


Mancano pochi giorni al grande evento dell’estate di Bearslicious che porterà a Padova l’affiatato gruppo della community FB e tutti i suoi tantissimi sostenitori, che si articolerà, come di consueto, in tre momenti: laboratorio pomeridiano, cena e disco (potete consultare l’evento qui).

Abbiamo già parlato del momento di “Padovania – Il diario dell’indifferenza“, laboratorio esperienziale curato dal responsabile del progetto Salvatore Borelli. Oggi conosceremo meglio il luogo che ospiterà il dopocena dell’evento, il Padova Pride Village, dove Bearslicious e BL Magazine saranno partner ufficiali della serata BearDoc.

A raccontarci il passato e il presente di questo importante, storico luogo di aggregazione è proprio il suo fondatore, Alessandro Zan, militante di lungo corso di Arcigay Veneto e politico dall’esperienza ventennale, già consigliere comunale del comune di Padova (dove è stato assessore all’ambiente, al lavoro e alla cooperazione internazionale), e primo fautore, in Italia, del registro anagrafico italiano delle coppie di fatto, aperto anche alle coppie omosessuali.

Oggi è un deputato eletto tra le fila della coalizione di centro-sinistra, e nella sua seconda legislatura continua ad occuparsi dei diritti della comunità lgbt. Ne abbiamo approfittato per analizzare insieme anche lo stato di salute della militanza di oggi.

Alessandro Zan

Il Padova Pride Village è nato nel 2008. Con quali presupposti?

È nato in seguito all’organizzazione del Pride di Padova di sei anni prima, del 2002, una grande manifestazione che aveva visto una bella partecipazione di tutta la città. Pur dopo diversi anni, si coltivava l’idea di voler creare una sorta di Pride permanente, qualcosa che rimanesse negli anni e che non si svolgesse solo il giorno del corteo, ma che rappresentasse anche un momento di socialità e di incontro, con iniziative sia di carattere culturale che ludico, come discoteca, spettacoli, concerti.

Dove avete realizzato il primo Village?

Abbiamo riunito un gruppo di persone volenterose, a partire da questa che è stata una mia idea, e ci siamo messi a cercare un luogo che potesse ospitare questa manifestazione. D’accordo col comune, abbiamo individuato un ex foro-boario abbandonato, ormai dismesso, che però aveva una bella architettura, con una struttura a piramidi. Armati di guanti, rastrelli, sacchi della spazzatura, colori e vernici abbiamo pulito e sistemato la zona, trasformandola in uno spazio molto carino e accogliente. La prima edizione è durata un mese, dal 1 al 31 agosto, con eventi tutti i giorni. L’anno successivo abbiamo deciso invece di trovare uno spazio che fosse un po’ più organizzato e strutturato come quello della fiera, che ci ha ospitato il secondo anno e lì siamo ancora oggi.

Avete mai subito resistenze politiche per l’organizzazione del Village? 

Devo dire di no, anche perché allora Padova era guidata da una giunta di centro-sinistra. Ma al di là di questo il corteo del 2002 ha sicuramente costruito delle basi culturali di accettazione e sostegno che poi si sono quasi normalmente e spontaneamente tradotte in ciò che vediamo oggi. Serviva sicuramente un Pride prima, per preparare la città e creare il terreno fertile. Oggi, anche grazie a quello, il Pride stanziale è diventato una consuetudine.

In queste undici edizioni, rispetto al 2008 in quali aspetti è cresciuto il Village?

Intanto adesso dura tre mesi anziché uno, e dunque è una realtà, forse la più importante, dell’estate padovana. Poi è cresciuto perché inizialmente era visto con un po’ di sospetto da un certo tipo di utenza, e oggi questa cosa è cambiata. C’è una convivenza molto bella e molto positiva tra tutti, a prescindere dal proprio orientamento sessuale. Capita poi anche che qualcuno non capisca bene dove si trova. Per questo abbiamo messo all’ingresso un cartello che specifica una cosa fondamentale: tutti sono benvenuti ma gli omofobi restano fuori. È un messaggio che vuole essere molto chiaro. Le persone che hanno cattive intenzioni da noi non entrano.

In cosa si caratterizza il programma del Pride Village 2018? 

C’è un programma piuttosto vasto: il mercoledì è dedicato ai concerti e agli spettacoli, che vedono come protagonisti nomi importanti come Teresa De Sio e una regina della musica tradizionale italiana, Orietta Berti, che si è spesa molto per le battaglie dei diritti civili, fino ad Arturo Brachetti. E poi c’è tutta la parte dell’intrattenimento, il cabaret, la discoteca, i dj internazionali che vengono da tutte le parti del mondo, è davvero uno spazio veramente per tutti, di aggregazione e divertimento. Sarà aperto fino al 15 settembre.

Alessandro Zan con Barbara D’Urso e Cristiano Malgioglio all’inaugurazione del Pride Village 2018 (credits: Giacomo De Cecchi)

Sono previsti momenti dedicati alla riflessione?

Certo, il giovedì è il giorno in cui trattiamo i grandi temi culturali e sociali: la “questione trans”, tematica sulla quale va fatta una riflessione profonda e una battaglia sociale, in quanto ci sono persone ancora fortemente discriminate, fino alle criminalità organizzata, con Federica Angeli, giornalista di repubblica che si batte contro le cosche mafiose del litorale romano. L’abbiamo invitata perché il tema dei diritti civili deve sempre essere legato alle battaglie sociali,  c’è anche una contaminazione di obiettivi. Abbiamo cercato di creare uno spazio bello, ecco. Elegante, che non fosse cialtronesco.

Da attivista di lungo corso, oggi, rispetto al passato, come è cambiata la militanza nei gruppi organizzati, nelle associazioni lgbt? 

Beh, sicuramente è cambiata. Oggi, giustamente, le associazioni lgbt non si accontentano di fare un passettino in avanti ma chiedono la parità dei diritti. Vogliono il matrimonio egualitario, le adozioni, il riconoscimento delle famiglie arcobaleno, la legge contro l’omotransfobia, sono delle battaglie sicuramente giuste che vanno motivate. L’importante è che le persone gay e lesbiche non cadano in una sorta di conformismo, che per alcuni rappresenta la via per essere accettati. In realtà l’accettazione parte da sé, è un percorso personale.

Quando parli di conformismo ti riferisci anche a quella frangia della comunità lgbt che non si riconosce nei gay pride?

Esatto, anche a quella. Mi chiedo: “cosa spaventa nel vedere un abito sgargiante?” Oppure “cos’è che spaventa veramente?” Ci rende davvero più sicuri manifestare in giacca e cravatta? Secondo me le persone omofobe non ci vorrebbero comunque anche se fossimo tutti omologati e conformi a determinati codici di abbigliamento. È importante che la differenza venga anche mostrata, se una persona sta bene così è giusto che lo mostri, che lo dica. Inoltre i Gay Pride sono oggi la più grande manifestazione rimasta nel nostro paese. Sono anzitutto manifestazioni pacifiche, non si rompono vetrine né si incendiano cassonetti, rivendicano un orgoglio e allo sesso tempo fanno divertire le persone. I Pride devono continuare ad esistere perché i diritti non si sono conquistati da soli.

Alessandro Zan al Padova Pride Village 2017 (credits: Corriere del Veneto)

Un mese fa hai invitato il ministro Fontana al Pride Village, a seguito delle sue discusse dichiarazioni sull’inesistenza delle famiglie arcobaleno. Vi siete mai incontrati?

Al Village non è venuto ma ci ho parlato alla Camera dei Deputati, solo uno scambio di battute. Il ministro Fontana ha un passato politico molto chiaro, viene dall’estrema destra e questo non depone a favore di politiche “pro-diritti”. Io spero sempre che il dialogo e il confronto possano portare a una crescita, anche personale, su questo tema. È chiaro che le sue uscite lasciano a desiderare ma sono sempre fiducioso che possa ricredersi.

Sei già stato firmatario di qualche proposta di legge a favore dei diritti lgbt in questa nuova legislatura?

Sì, ho presentato nei primi giorni una legge contro l’omotransfobia, perché mi sembra in questo momento la cosa più urgente da fare in tema di diritti, ed è stata firmata da quasi tutto il mio partito. La seconda firma è stata quella di Silvia Fregolent, che è la responsabile del mio partito per quanto riguarda diritti civili e pari opportunità. Rispetto alla legge Scalfarotto, che giace da anni nei cassetti del senato, è una legge più avanzata perché tiene conto anche delle evoluzioni normative che finora ci sono state nel nostro ordinamento. Quindi una legge moderna, aggiornata, che possa fare fronte alle varie casistiche dei reati d’odio davanti alle quali spesso ci troviamo davanti.

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Sono nato in Puglia, terra di ulivi e mare, e oggi mi divido tra la città Eterna e la città Unica che mi ha visto nascere. La scrittura per me è disciplina, bellezza e cultura, per questo nella vita revisiono testi e mi occupo di editing. Su BL Magazine coordino la linea editoriale e mi occupo di raccontare i diritti umani e i diritti lgbt+ nel mondo... e mi distraggo scrivendo di cultura e spettacolo!

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