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CORONAVIRUS. Diario di un redattore in FASE 2 (Giorno 20)


Una volta esisteva il pettegolezzo a portare scompiglio nella vita delle singole persone. Questo antico malcostume di paese mieteva vittime a metà, data la volatilità delle parole. Il sentito dire delle lingue biforcute serpeggiava placido nei discorsi di quartiere e di paese. La normalità della maldicenza non aveva alcun riscontro fondato della parola scritta.

La diffamazione aveva un senso più leggero.

Oggi devo segnalare una orrenda faccenda che arriva da lontano, ma, nella nostra società globale, dove la piazza è diventata il social network, le distanze appaiono millimetriche.

Questa notte una ragazza di 22 anni si è tolta la vita a causa delle numerosissime forme di odio scatenate sul web contro la sua persona.

Una giovanissima “wrestler” giapponese, la ventiduenne Hana Kimura, è morta in Giappone.

Il wrestling è quello pseudo-sport dove attori stunt-man fingono lotte e botte come nei film di Bud Spencer. Gli incontri prevedono sfidanti ben caratterizzati in personaggi che salgono sul ring ed inscenano risse. Per decenni il wrestling è stato ad appannaggio maschile. Da qualche anno, anche le donne, hanno iniziato a praticarlo.

La Kimura era la più popolare di tutte. Classe 1998 ed un aria da studentessa giapponese ne avevano creato un aura da mitico personaggio dicotomico del wrestling mondiale che ha da sempre scimmiottato personaggi sub urbani con accenti barbarici. La dolce giapponesina che picchiava duro era assolutamente una novità.

Nota per aver partecipato al reality show di Netflix, Terrace House, Hana Kimura aveva denunciato negli ultimi giorni di essere vittima di cyber-bullismo, dimostrando con i suoi ultimi messaggi sui “social” di essere molto provata e terrorizzata.

“Volevo essere amata. Non voglio più essere un essere umano”, si legge in uno dei suoi ultimi tweet.

La notizia della morte, per ragioni ancora non chiarite, è stata data dall’organizzazione Stardom Wrestling di cui la giovane faceva parte, che chiede ai fan di avere rispetto. Sul suo profilo Instagram, l’ultima immagine la mostra con il suo gatto e una sola inquietante parola come didascalia:
さようなら (Sayōnara, addio, in giapponese). Solo quindici minuti dopo è stata trovata esanime. Una scelta che rende palese la volontà di togliersi la vita.

Le indagini inoltre hanno portato anche all’analisi dettagliata del suo smartphone il quale ha dimostrato la sproporzione di messaggi carichi d’odio quotidiani: cyberbullismo.

Il fatto che sia donna, orientale e minuta sono state sicuramente le cause degli attacchi frontali fatta dagli utenti di tutto il mondo.

Qualcuno pensava che il lockdown avrebbe trasformato l’umanità in qualcosa di meglio di quello che eravamo prima dell’avvento del coronavirus.

Siamo gli stessi. Purtroppo.

L’illusorio potere che crediamo di avere dietro le tastiere è anche un’arma potentissima.

Le parole sono taglienti più delle spade dicevano. Ed è proprio così.

Oggi celebriamo il requiem di un altra giovane e fragile vita che ha deciso di farla finita.

Urge assolutamente che tutto il mondo riconosca che anche un singolo messaggio intimidatorio può essere considerato reato.

Tutti possiamo essere possibili vittime e tutti possiamo essere potenziali carnefici.

Viene da rimpiangere l’epoca analogica anni ’90 dove chi si permetteva di fare una accusa scritta ne rispondeva davanti ad un giudice.

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Di origine Abruzzese, ma ramingo come un nomade. Di molteplici interessi ogni sabato su Bl Magazine con la rubrica BL LIBRI.

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