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CORONAVIRUS. Diario di un redattore in FASE 2 (Giorno 11)


81 sono i giorni che ci separano da quella data di febbraio e “81”, in un detto abruzzese, è il numero del cafone: il contadino.

Oggi vorrei concentrarmi sulla epocale svolta che sembra abbia dato il Decreto “Rilancio” emanato nelle ultime ore dal Governo.

I braccianti agricoli in Italia sono, da sempre, la fascia più debole e meno rappresentata dall’unità d’Italia ad oggi. Il fanalino di coda di tutte le preoccupazioni di tutti. Un aura di disonore e miseria ha sempre avvolto i lavoratori della terra che, come maledetti dal paradiso, appaiono nell’immaginario collettivo come degli alieni o, per dirla J.K. Rowling, elfi domestici.

Il decreto prevede soli sei mesi di estensione di permesso di soggiorno per i braccianti stranieri. Probabilmente sono il 25% di tutti i contadini che fanno la “stagione di raccolta” nei nostri campi. Stime precise non sono affatto esistenti. Ricordiamo tutti la situazione di Rossano in Calabria e della bidonville messa in piedi nel nulla. Scene raccapriccianti di situazioni disumane accompagnano i reportage giornalistici contemporanei che, malamente vengono ascoltati dai “grandi media”. Finalmente, anche se tra le polemiche di molti, il problema di riconoscere ai braccianti stranieri qualche diritto, in questa situazione d’emergenza, è stato affrontato. È indubbio che dietro alle storie di queste persone, venute da chi sa dove, si intrecciano destini di sofferenza e violenza. Chi di noi preferirebbe vivere dentro catapecchie di lamiera per raccogliere pomodori in italia piuttosto che vivere nella propria madre patria?

I disperati, ovviamente.

L’alternativa per loro è una realtà fatta di guerre, crisi sanitarie ed estrema povertà.

Il problema dei braccianti riguarda tutti. Dalla sciura brianzola all’informatico partenopeo. Tutti gli italiani amano il buon mangiare, le materie prime docg. Ci allieta tantissimo il banco della frutta e verdura. I nostri costumi alimentari prevedono un consumo massiccio dei prodotti della terra.

La filiera, in Italia, non è molto lunga. Viviamo ancora di settore primario: di agricoltura.

Quanti di voi sanno esattamente cosa significhi raccogliere un chilo di pomodori o raccogliere a mano le arance?

Se poi dietro questa fatica oggettiva del mestiere, si va a sommare lo sfruttamento dei caporali e delle mafie, sareste così ben disposti di acquistare prodotti imbevuti di schiavitù?

Ecco. È proprio questo. In Italia esiste ancora la schiavitù e abbiamo fatto finta di non vederla per interessarci di più a come abbinare gli alimenti per fare uno scatto da proporre sui social.

Non voglio assolutamente pontificare dall’alto di una tastiera e vomitare parole moralizzatrici. Chi vi scrive ha provato con mano cosa significa essere bracciante, sfruttato, in attesa di un rinnovo del visto di soggiorno.

Era il 2010 quando decisi di voler prolungare il mio visto lavoro in Australia. Ero esattamente uno straniero in un’altra patria. Molti giovani Europei decidono ogni anno di tentare la fortuna nella terra dei canguri e, il percorso per ottenere i visti, passa anche dai campi.

Le chiamavamo “fare le Farm”. Ovvero andare almeno 3 mesi nelle zone rurali delle immense piantagioni Australiane. Lavorare nei campi e poi tornare a Sidney o Melbourne per continuare una sana vita borghese. Io scelsi di andare a Bundeberg. Nota località remota del Queensland. Si produce Rum bianco. Anche nei comuni limitrofi esistono piantagioni grandi come province italiane dove sono impiantate monocolture di ananas, avocado, fragole e ginger. La richiesta di manodopera è elevatissima. Nessun australiano vuole fare il bracciante. L’Australia negli anni ha pensato bene di chiedere a tutti gli stranieri di provare questa esperienza faticosissima per poter estendere il proprio visto di soggiorno.

Se l’idea di vita rurale e bucolica all’inizio mi allettava molto, arrivato a Bundeberg mi sono reso conto che la musica era diversa. La società rurale del Queensland è molto arretrata. Un po’ ovunque comparivano cartelli governativi che invitavano a non sposare consanguinei.

Il detto che incrocia il verbo volto al riflessivo “fare” con la “cugina” è assolutamente vietato lì.

Solo dopo due giorni in quella località scoprii che gli italiani e i greci venivano chiamati “wop” (l’equivalente di negro) e che eravamo odiatissimi dai locali come, del resto, tutti i giovani europei che andavano lì per estendere il proprio visto.

Nel 2008 a Childers, comune limitrofo a Bundeberg, diedero fuoco ad uno ostello che ospitava giovani braccianti belgi. Morirono tutti quei ragazzi che volevano essenzialmente estendere di un anno la loro permanenza in Australia.

Tutti i ragazzi e le ragazze potevano entrare in contatto con i fattori solo attraverso gli ostelli. Ogni ostello aveva una sorta di ufficio reclutamento braccianti che ogni mattina alle 4 indicava in quale fattoria bisognava andare a raccogliere frutta. O, come talvolta accadeva, a spalare letame.

Se pensate che la paga fosse alta vi sbagliate. Lavoravamo per più di 10 ore sotto il sole tropicale per un compenso di 16$. Quei soldi praticamente coprivano il prezzo dell’alloggio.

Il malumore dei giovani europei era perpetuo, ma nessuno si lamentava perchè l’obiettivo era il visto.

Mi ricordo però molte disavventure. Una mattina mi mandarono a raccogliere gli ananas.

Nessuno mi aveva preparato a quella esperienza che a fine giornata trasformò il mio volto e la mia pelle in uno dei personaggi trucidati di SAW l’enigmista. Raccogliere ananassi comporta dover camminare su una distesa sconfinata di arbusti affilati come lame uncinate. Schivare le foglie taglienti, raccogliere solo gli ananas di una certa pezzatura e rincorrere un rullo trasportatore che procedeva veloce lungo il campo. Con me c’erano solo immigrati papuani. Lavorai 10 ore senza protezioni. Tornai in ostello con la faccia piena di micro ferite che bruciavano mortalmente.

Il giorno dopo, alle 4 del mattino fortunatamente non fui chiamato a raccogliere gli ananas. Probabilmente ero troppo scarso. Ammetto che gioii quando chiamarono il ragazzo norvegese.

Mi chiamarono invece per raccogliere i cocomeri.

Quello fu un trauma indescrivibile dato che la raccolta prevedeva il lancio delle angurie. Il mio astigmatismo non mi aiutò affatto.

Il giorno dopo non fui neanche chiamato per i cocomeri. Anche il Norvegese, con la faccia tumefatta anche lui, non fu richiamato per gli ananas. Sperimentai invece la raccolta dello zenzero. Quella era semplicissima. L’aratro passava e noi prendevamo i tuberi dalla terra umida. La difficoltà era rappresentata da delle rane velenose che saltavano ovunque.

Nei campi di ginger durai una settimana. Ma arrivarono a maturazione le fragole. A Bundeberg , quando maturano le fragole, vengono chiamati a raccolta tutti i braccianti di ogni piantagione.

Ci si doveva svegliare alle 3 del mattino. Ci caricarono in una camionetta pick up e un giovane fattore australiano ci spiegò la procedura di raccolta e ci avvertì che se nel caso avessimo avvistato serpenti dovevamo rimanere immobili. Arrivati al campo vedemmo file chilometriche di fragole. Dovevamo lavorare scalzi nella terra e raccogliere velocemente quante più frutti possibili. A sorvegliarci c’era una anziana signora orientale con un tipico cappellino a punta di vimini. Io la soprannominai Maria-Viet-Cong. Con una canna ci punzecchiava per andare più veloci. Si procedeva accoccolati. Verso le nove del mattino, mi bloccai. Tra le mie mani strisciò una vipera cornuta rossa.

Credo di non aver mai percepito tale paura adrenalitica nel mio cuore. Feci cenno a Maria-Viet-Cong dell’avvistamento e la signora, con la naturalezza tale da sembrare quasi un angelo con gli occhi a mandorla sfoderò un macete e in un secondo decapitò il pericolosissimo rettile.

A fine giornata ci pagarono in frutta. Ricordo che il proprietario dell’ostello litigò con Maria-Viet-Cong. Il giorno dopo andammo a raccogliere pomodori.

Ce li fecero raccogliere a mani nude nonostante sapessi che la pianta di pomodoro contenesse un alcaloide tossico nelle parti verdi. In Italia è vitata la raccolta a mani nude sulle piantagioni.

Proprio in quella occasione, poi finì sul giornale per aver scatenato uno sciopero dei braccianti europei. Ma questa è un’altra storia.

Ecco. Solo se uno ha vissuto la condizione del bracciante può capire cosa sia la vita del bracciante.

Personalmente sono contento a metà di questa svolta antischiavista del governo, ma e vero anche che tra sei mesi tornerà tutto come prima.

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Di origine Abruzzese, ma ramingo come un nomade. Di molteplici interessi ogni sabato su Bl Magazine con la rubrica BL LIBRI.

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