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Caso C.A.DO.M: una battaglia a difesa delle donne che non può accettare compromessi

- 24/07/2019


Nella giornata di lunedì abbiamo diffuso il comunicato emesso dal Centro Aiuto Donne Maltrattate a mezzo del quale si diffondeva la notizie che, a seguito del rifiuto di consegnare il codice fiscale delle donne che si erano rivolte al centro, la Regione Lombardia aveva revocato i fondi che erano sempre stati concessi (potete cliccare qui per leggere l’articolo).

La conseguenza di questa scelta ha determinato l’impossibilità per il C.A.DO.M di proseguire la propria attività e, pertanto, alcuni sportelli verranno dapprima ad essere gestiti dal altre associazioni, quali Telefono donna onlus e da White Matilda, ma successivamente al dicembre 2019 non è possibile prevedere la sorte degli sportelli di Brugherio, Lissone e Seregno.

Nella giornata di martedì abbiamo dato voce alla Dott.ssa Erminia Belli, componente del Direttivo C.A.DO.M, affinché spiegasse cosa è il C.A.DO.M , come si muove, i progetti passati e quelli futuri (cliccate qui per recuperare l’articolo).

Oggi spiegheremo perché Bl Magazine, i suoi redattori e collaboratori hanno deciso di schierarsi a favore di questa associazione, perché ci siamo impegnati a divulgare la vicenda e perché continuiamo ad offrire la nostra assistenza.

Ogni giorno si parla di violenza sulle donne, ogni giorno sentiamo di donne che sono state picchiate ed uccise, ogni anno viene tenuto una sorta di contatore delle donne vittime di violenza.

E’ un fenomeno subdolo, in continua espansione che sembra non conoscere freni, dove donne, tantissime donne indipendentemente dall’età, dall’appartenenza sociale o economica, rimangono vittime di una violenza, fisica o psicologica, perpetrata nei loro confronti da uomini che dovrebbero, e che dicono, di amarle e proteggerle.

Molte volte, anche troppe, non bastano le denunce, gli esposti, il ricorso all’autorità giudiziaria.

Molte volte, rassegnarsi ad una situazione di violenza non è una scelta: basti pensare ad una donna, non solo provata nello spirito e nel corpo, ma anche non in grado di provvedere a se stessa o semplicemente isolata dal proprio aguzzino.

Cosa può fare una donna in questa situazione?

Chiede aiuto, a qualcuno di cui si fida oppure cerca un’associazione o un centro antiviolenza a cui rivolgersi perché sa che troverà accoglienza, protezione e una strada per cominciare a vivere nuovamente.

Cliccando a questo link, potrete accedere all’elenco dei centri antiviolenza regione per regione e trovare quello più vicino a casa vostra.

Tra queste associazioni rientra anche il C.A.DO.M, che fa parte di una rete più ampia, e dove lavorano psicologhe e colleghe avvocati che supportano tutte le donne anche dando delle consulenze gratuite.

Le donne che si rivolgono al C.A.DO.M sono donne spaventate, timorose che sfuggono da una realtà tremenda, che prestano il loro consenso ad essere aiutate ma che di certo non sono in grado di prestare, o semplicemente pensare, di autorizzare, a quali scopi?, la diffusione dei propri dati e del proprio codice fiscale.

Sono Donne che hanno paura, che scappano alle quali non si può chiedere di prendere delle decisioni quando hanno appena abbandonato l’unico tipo di vita che hanno conosciuto.

La Regione Lombardia ha più volte richiesto al C.A.DO.M, e non solo, i dati delle donne, inclusi il codice fiscale.

Il C.A.DO.M ha rifiutato di aderire alla richiesta sollevando numerosi dubbi circa la legittimità della richiesta pertanto, sia nel 2015 che nel 2017, è stato coinvolto a dirimere la problematica il Garante sulla Privacy.

Il suddetto Garante ha chiarito che i dati dovevano essere anonimizzati ed ha sollevato alcune criticità il cui rimedio, per quanto dichiarato dal C.A.DO.M, la Regione Lombardia non ha mai spiegato.

Le criticità sono connesse alla validità del consenso che potrebbe essere viziato dallo stato di necessità e di bisogno in cui la donna si trova quando si rivolge al centro, alla violazione di norme come la Convenzione di Instabul, di cui abbiamo già parlato, nonché dalle criticità connessa alla gestione dei dati e alla protezione degli stessi.

Cosa accadrebbe se un soggetto terzo, inserendo il codice fiscale, riuscisse a carpire informazioni su una donna?

Sembra una ipotesi assurda, ma….

Sul sito del Garante della Privacy è possibile trovare l’ordinanza ingiunzione nei confronti di Lombardia Informatica Spa, 15 Marzo 2018, doc. web. 9003263, registro dei provvedimenti n. 156 del 15 Marzo 2018.

La Società Lombardia Informatica Spa, gestisce per conto della Regione Lombardia, i dati sensibili.

Col suddetto provvedimento la stessa è stata condannata a pagare la somma pari ad € 40.000 a titolo di sanzione amministrativa per aver “consentito ai soggetti terzi registrati alla piattaforma MUTA di accedere alla funzione di precompilazione dei moduli e, attraverso di essa, venire a conoscenza dei dati personali di alcuni soggetti che erano presenti negli archivi anagrafici della Regione e consentito ai predetti soggetti di accedere alla piattaforma MUTA senza aver superato una procedura di autenticazione al sistema”.

Come è avvenuta la violazione?

Utilizzando il codice fiscale, “risulta accertato, in primo luogo, che gli utenti registrati alla piattaforma Muta hanno avuto la possibilità di accedere a dati personali relativi a soggetti terzi tramite la funzione precompila dati del modello di dichiarazione unica ambientale. Tale funzione, a fronte dell’inserimento di un codice fiscale, forniva alcuni dati personali (nome, cognome, data di nascita e indirizzo di residenza, anche di minori) relativi all’interessato.”

Viene naturale sviluppare alcune considerazioni.

È così necessario fornire i dati sensibili e il codice fiscale?

Se la risposta è si, la domanda successiva è perché?

È giusto non rispondere alle legittime preoccupazioni di chi, dal 1984, si occupa di tutelare le donne?

È opportuno in questo momento storico non aiutare un centro antiviolenza?

Perché da una parte si approva il codice rosso e dall’altra nessuno parla di cosa sta accadendo al C.A.DO.M?

Per quanto mi riguarda occorre avere delle risposte, occorre portare l’attenzione su questo argomento, occorre battersi a tutela delle donne. Comprendo che potrebbe apparire una battaglia contro i mulini a vento ma, francamente, non riesco a rimanere ferma ed indifferente.

Troppo facile scuotere la testa e dirsi triste quando si sente l’ennesima notizia di una donna di violenza se, pur facendo un piccolo passo, quella donna, o un’altra, poteva essere aiutata.

Un flebile voce la mia, quella del C.A.DO.M, quella di BL Magazine e di chi ci ha aiutato a diffondere l’accaduto ma tante voci insieme si levano in coro.

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Non faccio l'Avvocato ma lo sono. Calabra di nascita e "fiorentina" per adozione.

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