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Convenzione di Istanbul: il fallimento del primo passo per tutelare la donna contro la violenza.

- 06/03/2019
istanbul convention


Questa settimana, per la rubrica BL Legalità, parleremo della Convenzione di Instabul, ovvero della Convenzione del Consiglio di Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e contro la violenza domestica.

La Convenzione è stata approvata il 7 Aprile 2011, firmata da ben 32 paesi. Il primo a ratificarla è stata la Turchia, il 12 Marzo 2012.

Nel 2015 anche altri 12 paesi, tra cui l’Italia, hanno provveduto a seguire l’esempio della Turchia.

Scopo della Convenzione di Istanbul

Come suggerisce la denominazione, lo scopo della Convenzione è quello di limitare le violenze nei confronti delle donne. A tale scopo gli Stati aderenti dovrebbero inserire nel proprio ordinamenti, qualora non esistenti, i reati previsti dalla Convenzione nonché tutte le previsioni contenute negli 81 articoli che costituiscono la predetta Convenzione.

Trattandosi di una Convenzione che, si ribadisce, è stata sottoscritta da 32 Stati. non deve sorprendere se tra i reati ivi previsti ve ne sono alcuni che difficilmente vediamo concretizzarsi nel nostro Paese.

Istanbul conventions
Manifestanti durante la convenzione di Istanbul

Quali reati sono previsti dalla Convenzione di Istanbul?

I reati cui si fa riferimento sono sostanzialmente otto, disciplinati dall’art. 33 all’art. 40: la violenza psicologica prevista, gli atti persecutori, tra cui rientra anche lo stalking, la violenza fisica, la violenza sessuale compreso lo stupro, il matrimonio forzato, le mutilazioni genitali femminili, l’aborto forzato e la sterilizzazione forzata ed infine le molestie sessuali.

All’articolo 42 della convenzione si fa riferimento, inoltre, ai quei reati commessi in nome dell’onore che nel nostro ordinamento furono abrogati in Italia dalla Legge n. 442 del 10 Agosto 1981.

Gli articoli più interessanti , tuttavia, a parere di chi scrive sono: l’articolo 3 – dove vengono indicati i termini chiave dai quali bisognerebbe partire per una corretta applicazione della Convenzione – e l’articolo 4, che chiaramente vieta alcuni tipi di discriminazione.

Nello specifico, l’articolo 3 definisce la violenza contro le donne come “quella violenza dei diritti umani e una forma di discriminazione nei confronti delle donne, e si intendono tutti gli atti di violazione di genere che determinano o sono suscettibili di provocare danno fisico, sessuale, psicologico o economico o una sofferenza alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica o privata

La “violenza domestica” viene identificata con tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima.

Il termine genere viene utilizzato per indicare i ruoli socialmente costruiti, comportamenti, attività e attributi che una data società ritenga appropriato per le donne e gli uomini. Infine, con la terminologia “violenza contro le donne basata sul genere” si identifica qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato.

Divieto alle discriminazioni

L’articolo 4 afferma il divieto di alcuni tipi di discriminazione, poiché le misure destinate a tutelare i diritti delle vittime “deve essere garantita senza alcuna discriminazione fondata sul sesso, sul genere, sulla razza, sul colore, sulla lingua, sulla religione, sulle opinioni politiche o di qualsiasi altro tipo, sull’origine nazionale o sociale, sull’appartenenza a una minoranza nazionale, sul censo, sulla nascita, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere, sull’età, sulle condizioni di salute, sulla disabilità, sullo status matrimoniale, sullo status di migrante o di rifugiato o su qualunque altra condizione.

Perché la Convenzione di Istanbul si è rivelata un fallimento?

Appare del tutto evidente che una corretta applicazione delle disposizioni contenute nella Convenzione avrebbe arrecato un grande vantaggio non solo per le donne ma anche per tutti i colori i quali erano vittime di discriminazioni.

Con un certo rammarico, occorre constatare che l’impatto della Convenzione è stato molto ridotto anche a causa della scarsità dei finanziamenti originariamente previsti. A ciò si aggiunga che, successivamente alla ratifica, una corretta esecuzione della Convenzione avrebbe dovuto portare ad una diminuzione, mai verificatasi, degli episodi di violenza sulle donne.

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Non faccio l'Avvocato ma lo sono. Calabra di nascita e "fiorentina" per adozione.

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