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Inchiesta nell’Alta Sicurezza di Reggio Calabria, arrestata l’ex direttrice

- 04/09/2020
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Nel 1990 Fabrizio De André narrava la vita in carcere di Don Raffaè per denunciare la situazione critica delle carceri italiane e la sottomissione dello Stato al potere delle organizzazioni criminali anche dietro le sbarre.

Trent’anni dopo, il quadro descritto dal noto cantautore risulta immutato in Calabria se non che, al posto dell’agente corrotto che offriva servigi speciali ai detenuti, ci sarebbe la più alta carica di una struttura carceraria, almeno per quanto emerso finora.

La direzione ‘ndranghetista nel carcere di Reggio Calabria

Pochi giorni fa sono stati richiesti gli arresti domiciliari per Maria Carmela Longo, ex direttrice dell’istituto penitenziario di Reggio Calabria, con l’accusa, del tutto inattesa, di concorso esterno in associazione mafiosa.

La Dott.ssa Longo, a capo della sezione femminile del Carcere di Rebibbia, al momento in cui è stata resa nota l’indagine, era conosciuta per essere una direttrice modello. Tale riconoscimento le era stato attribuito dopo quindici anni di dirigenza presso l’istituto di Reggio Calabria, luogo ove si sarebbero svolti i fatti per cui è finita sotto accusa, poiché risultava essere particolarmente “attenta al benessere del detenuto“.

Tali meriti, in questi giorni, vengono ovviamente discussi a seguito della vicenda.

La Dottoressa Maria Carmela Longo

Secondo i pm, infatti, la Dott.ssa Longo concorreva al mantenimento e al rafforzamento delle associazioni a delinquere di tipo ‘ndranghetistico“, elargendo favori ai carcerati, fino a collocare nella medesima cella detenuti appartenenti al reparto di Alta sicurezza, legati da rapporti di parentela e/o affiliati allo stesso clan, tra cui Cosimo Alvaro, Domenico Bellocco, Giovanni Battista Cacciola, Maurizio Cortese e Michele Crudo.

Inoltre, richiedeva il trasferimento di altri presso la struttura da lei diretta per soddisfare le richieste dei “suoi ospiti”, oppure volontariamente rimandava lo spostamento di soggetti che si trovavano in Calabria per il processo.

La sezione “alta sicurezza”

Abbiamo menzionato in precedenza l’Alta sicurezza, che altro non è che una particolare sezione degli istituti penitenziari.

Questa sezione, nella quale si svolgono i fatti della vicenda, è suddivisa in tre circuiti: uno per i detenuti legati ad attività terroristiche o di eversione dell’ordine democratico, un secondo per coloro che hanno rivestito posizioni di rilievo nelle organizzazioni dedite al traffico di stupefacenti e un terzo per gli individui appartenenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso a cui non si applica il regime del 41-bis, e altre organizzazioni criminali di provenienza.

All’interno delle carceri italiane, al 31 Dicembre 2019, erano presenti più di settemila detenuti per il reato di associazione di stampo mafioso, di cui poco più di settecento sottoposti al regime del carcere duro, meglio conosciuto come il 41 bis.

Il sistema di favoritismi contestato alla Dott.ssa Longo si è venuto a creare nel carcere di Reggio Calabria poiché, pur non essendo uno dei tredici istituti individuati per ospitare detenuti condannati al carcere duro, all’interno della struttura convivevano numerosi affiliati a gruppi criminali che secondo le carte hanno ottenuto, con l’appoggio dell’ex direttrice, di poter comunicare indisturbati. Don Raffaè ne sarebbe stato senz’altro fiero.

Fonti: Repubblica, Antigone, Istat.

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