Quando il vintage diventa GLAMOUR?
E già, me lo sono chiesto proprio scoprendo che al Festival di Sanremo di quest’anno l’eclettica Arisa si è presentata con “udite,udite!” un vestito comprato su una bancarella dell’usato.
Mi sono ricordato che negli anni in cui ero universitario, con poca pecunia, giravo per i mercati di Catania alla ricerca del capo meglio conservato ma anche più (passatemi il termine) originale. All’epoca era cosa forzata e anche un po’ disdicevole – parlo di quindici anni fa – ma non credo di essermi divertito mai così tanto a rimestare tra gli indumenti, per crearmi un look che mi valse l’appellativo di dio del kitsch.
Mischiavo pantaloni a quadretti borderie, che ricordavano talvolta il nonno e talvolta il dandy, con felpe col cappuccio di stampo moderno; o maglie a serafino con cardigans morbidi; ai piedi immancabili le gazzelle che di tanto in tanto lasciavano posto a degli scarponi; sopra, il tutto, veniva adornato da fantastici cappotti a quadri, che trovavo alle svendite fallimentari, pagati pochissimo, e che ancora conservo in ottimo stato.
Ma torniamo alla nostra Arisa, una donna che ha da sempre osato tantissimo, che ha saputo essere sempre moderna pur ”rubacchiando” qualcosa dal passato. Questa volta ci ha stupito più che per tutte le sue metamorfosi, presentandosi alla kermesse italiana per eccellenza , con un abitino comprato per pochi euro ad un mercatino rionale.
Se non l’avesse detto, avremmo sicuramente pensato ad un capo di alta moda creato da chissà quale eccentrico stilista.
Abbiamo imparato che non occorre spendere millemila euri per far bella figura
Ma in casa abbiamo un’altra fenomenale amante del vintage, madame Nina Zilli. Camaleontica come la sopracitata collega, la Zilli è spudoratamente più retrò , ma più sofisticata, volutamente divertente e leggera, ha sempre azzeccato l’outfit giusto, mixando anche cose diverse tra loro in termini di abbigliamento/make up/ hair style, creando equazioni stilistiche armoniose nelll’insieme. Indimenticabile la sua comparizione a Sanremo 2015, in Vivienne Westwood.
In generale, negli ultimi anni sono tantissime le Star, anche internazionali, che hanno scelto di rovistare nel bidone del tempo per rilanciare non solo un’immagine di sé decontestualizzata, ma anche per quell’amore del bel tempo che fu, che un po’ piace a tutti, e che guardiamo con nostalgia.
Da Rhianna ad Anne Hathaway, passando per Dita Von Teese e Katy Perry , da Jhonny Depp a Patrick Dempsey , passando per Pier Francesco Favino (si è un’ossessione, la mia analista dice che sono innocuo) , la passione per il capo datato , meglio se originale poi, è un vezzo difficile da non concedersi. È vero che molte volte si acquista un indumento che si rifà allo stile di una volta, ma avere un pezzo originale sembra vada per la maggiore.
Ogni volta che mi ritrovo in qualche negozietto, sapete, di quelli piccini, ben tenuti, con tutte quelle cose esposte che mi rimandano al concetto di tendenza che vigeva, provo sempre un misto di nostalgia e spensieratezza, ripensando magari a come fu accolta quella blusa o quel pantalone, a tutto quello che ha significato magari in termini di emancipazione, sia maschile che femminile, alla volontà magari del designer del momento di creare un qualcosa che, anche a livello sociale, rompesse con lo schema che lo aveva preceduto.
Perché la moda non è solo un momento di vanità, è anche un veicolo con cui ci proiettiamo nel mondo politico,nel mondo delle relazioni e dei valori.
Recuperare un modo di vestire e farlo proprio, è come visitare un luogo a cui attribuiamo una qualità positiva , magica, magari svestendola dal contesto specifico, ma che ci parla di un tempo “buono”, lontano dal caos in cui viviamo e dalle nuove battaglie contro gli impegni, le responsabilità, l’appiattimento che i vari brand che, vuoi o non vuoi, ci appiccicano addosso.
Ripenso con affetto all’armadio di mia madre, a tutte quelle giacche e ai giacconi, alle camicie che le feci buttare da piccolo, perché da ragazzini si riconosce solo ciò che ha da venire, e si deride il passato. Mi pento di non aver tenuto quella giacca di pelle blu anni ’70, che oggi avrebbe avuto un valore inestimabile, quello di rivangare un momento altamente produttivo in termini di diritti, di arte, di concetti.
Probabilmente lo avrei tenuto ancora nell’armadio e Mr. Dee mi avrebbe canzonato perché non butto mai niente, ma nella mia mente sarebbe passato prima o poi ad una persona che lo avrebbe amato smisuratamente per il profumo di storia che portava.