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MARTIN SCORSESE: un “bravo ragazzo” al servizio del cinema

- 23/10/2019


“L’armonia tra il cuore e la terra, e quello il Regno dei Cieli. A volte noi angeli ci affacciamo dal cielo e invidiamo vioi uomini. Vi invidiamo davvero.”

L’ultima tentazione di Cristo

Martin Scorsese è oggi considerato uno dei più grandi registi della storia del cinema nonché una vera e propria memoria del cinema mondiale. In attesa del suo ultimo film The Irishman, presentato in anteprima alla Festa del cinema di Roma il 21 ottobre, cerchiamo di ripercorrere brevemente la sua carriera in alcuni momenti salienti.

Profondo innovatore del cinema americano nella New Hollywood degli anni Settanta che ha generato tra gli altri autori come Peter Bogdanovich, Francis Ford Coppola, Michael Cimino e Steven Spielberg, attraverso i suoi film Scorsese ha portato sul grande schermo non solo le contraddizioni della società italo – americana, segnata da un lato dalla malavita ma anche da un profondo attaccamento ai valori della terra d’origine, in particolare della Sicilia, ma anche temi rilevanti come l’alienazione dell’uomo nella società americana post Vietnam, il rapporto Dio – Uomo e il peso della colpa in rapporto al peccato.

Quel bravo ragazzo di Little Italy

Martin Scorsese nacque a New York, nel Queens, nel 1942 da genitori provenienti da Little Italy. I suoi nonni erano originari della provincia di Palermo, in particolare di Polizzi Generosa e di Ciminna, curiosamente set de Il Gattopardo di Luchino Visconti, uno dei film più amati dal regista americano, fonte di ispirazione per il suo capolavoro sulla New York di metà Ottocento L’età dell’innocenza.

A causa di un’adolescenza segnata da una salute precaria, potendo raramente uscire di casa, sviluppa un forte interesse per il cinema in particolare per quello italiano, prediligendo registi come Visconti, Fellini, Pasolini e De Sica, e per quello indipendente di John Cassavetes. Parallelamente studia per diventare prete. Tuttavia l’interesse per il cinema mal si conciliava ad un futuro segnato dalla religione, così grazie ad un corso universitario in cinematografia della New York University cominciò a dirigere una serie di cortometraggi di cui ricordiamo La grande rasatura del 1967, manifesto scorsesiano e di tutta la New Hollywood. La grande rasatura è un cortometraggio di soli cinque minuti; tuttavia ciò che colpì maggiormente fu da un lato il protagonista che si rade fino a tagliarsi la gola in una sequenza a dir poco splatter, dall’altro il messaggio della rasatura fortemente politico che si configura come un’immagine simbolica dell’americano medio negli anni della guerra in Vietnam.

Martin Scorsese e Robert De Niro sul set di Mean Streets

Proprio in quegli anni avviò i suoi primi sodalizi artistici, alcuni dei quali mai interrotti come quello con Harvey Keitel e Robert De Niro in film come Chi sta bussando alla mia porta sempre del 1967, chiaramente influenzato dalla Nouvelle Vague e dal cinema di Cassavetes, e Mean Streets del 1973, film autobiografico ambientato tra le strade violente della Little Italy di inizio anni Settanta.

Dopo una breve incursione nella commedia drammatica con discreto successo con Alice non abita più qui (premio Oscar alla miglior attrice protagonista Ellen Burstyn nel 1975), il 1976 vide la piena affermazione di Scorsese con Taxi driver, considerato dai più non solo il capolavoro del regista ma uno dei più grandi film della storia cinema. Il film traccia le vicende di Travis Bickle, interpretato da Robert De Niro, un reduce della guerra del Vietnam, che vive la sua esistenza sospesa tra le pericolose strade notturne di New York e la ricerca di senso tra il marciume della metropoli americana. Tutto questo lo conduce ad uno straniamento totale dalla realtà portandolo a compiere un massacro al fine di ristabilire, nella sua mente psicopatica, un ideale di giustizia giusto seppur estremo. Nell’immaginario collettivo alcune sequenze come il “Ma dici a me?” del protagonista allo specchio e il ghigno finale di Robert De Niro che si punta il dito insanguinato alla tempia a mo’ di pistola.

La scena più famosa di Taxi Driver

Tra drammi, commedie e religione: gli anni dell’affermazione

Dopo Il famoso musical con Liza Minnelli New York, New York uscito nel 1977 che peraltro non ebbe successo, gli anni Ottanta si aprirono con un altro capolavoro cioè Toro scatenato, sempre con Robert De Niro come interprete del pugile Jake LaMotta, vincitore dell’Oscar come miglior attore protagonista nel 1981 ed avviò la collaborazione definitiva con la montatrice Thelma Schoonmaker, marchio di fabbrica delle opere scorsesiane, che col suo stile frenetico sommato ai virtuosismi registici, caratteristica basilare dell’autore newyorkese, rendono i suoi film immediatamente riconoscibili e talvolta “esplosivi”.

Malgrado in quegli anni le sue opere non abbiano goduto (ingiustamente) di molti consensi sia da parte della critica e dal pubblico, basti pensare al divertentissimo Re per una notte del 1983 e all’ allucinante viaggio notturno tra le strade newyorkesi di Fuori orario del 1985, nel 1988 realizza la sua opera più controversa, L’ultima tentazione di Cristo, basato sull’omonimo romanzo dello scrittore greco Nikos Kazantzakis, in cui la figura del Cristo viene vestita di un misticismo tutto nuovo, profondamente inserito tra i dubbi e le paure che lacerano l’animo di ogni uomo comune.

L’ultima tentazione di Cristo: dialogo tra Gesù e Giuda

 La colonna sonora, considerata tra i capolavori assoluti della world music, fu firmata da Peter Gabriel e mischia motivi mediorientali mista al rock progressivo in una sorta di tribalismo pagano. Il film fu presentato alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia del 1988 tra mille polemiche, fomentate principalmente dalla Chiesa e da gruppi di integralisti cattolici. In Francia si giunse addirittura a scontri violenti causando un morto e diversi feriti gravi.

Tra Kolossal ed Oscar: un’energia irrefrenabile

Gli anni Novanta furono segnati da grandi film: la parabola criminale di Goodfellas del 1990, le rigide convenzioni dell’alta società newyorkese dell’Ottocento ne L’età dell’innocenza del 1993 o le scalate al potere di Casinò del 1995 non sono altro che facce della stessa medaglia, ovvero appartenenti a quella stessa società dominata dalle regole gerarchiche della Little Italy criminale di inizio anni Settanta.

Michelle Pfeiffer e Daniel Day-Lewis ne L’età dell’innocenza

Gangs of New York del 2002 e The Aviator del 2004 aprono il nuovo millennio. Nonostante si trattino di opere non completamente riuscite, sono le prime del regista caratterizzate da un immenso sforzo produttivo. La ricostruzione della New York di metà Ottocento fu interamente affidata al nostro Dante Ferretti (tra l’altro è ancora possibile ammirarla in tutta la sua magnificenza presso Cinecittà) che vincerà l’Oscar l’anno successivo con The Aviator e nel 2013 con Hugo Cabret. In questi film, che aprono la nuova collaborazione del regista con Leonardo Di Caprio, Martin Scorsese allarga il suo discorso sulla società americana dalle strade di New York alle basi storiche e culturali di questa grande nazione segnata da enormi contraddizioni, nata dal sangue e da grandi sogni trasformati in ossessioni.

Il 2007 è l’anno dell’Oscar alla regia con The Departed, film che segna il ritorno di Scorsese nell’ambiente mafioso, questa volta non italiano ma irlandese. In The Departed però l’idea di comunità e di appartenenza, caratteristica dell’ambiente malavitoso italo-americano, tendono a scomparire: qui esistono solo degli individui alla ricerca di consenso e potere in un abile gioco di specchi sempre sospeso sul sottilissimo confine tra bene e male.

Martin Scorsese vincitore dell’Oscar alla regia per The Departed nel 2007

La consacrazione definitiva con l’Oscar alla regia del 2007 gli consentì  il ritorno alle grandi produzioni; Hugo Cabret, l’unico film realizzato da Scorsese per un pubblico di ragazzi uscito nel 2012, secondo lo stesso regista sarebbe stato realizzato per sua figlia Francesca, allora una bambina, che gli chiedeva di continuo perché non avesse mai diretto un film adatto a lei.

Il film è un magico tributo alla storia del cinema visto attraverso gli occhi di un orfano che riesce a ritrovare sé stesso grazie ad un automa rotto costruito da Georges Meliès, pioniere del cinema e “mago” degli effetti speciali. Hugo Cabret, apparentemente indirizzato ad un pubblico più giovane, in realtà è molto più complesso di quanto si pensi. Basti pensare che l’automa protagonista del film ha lo stesso sorriso enigmatico della Gioconda, espediente usato da Scorsese come elemento misterioso che lega Hugo a Meliès. In più i rimandi alla nascita del cinema sono molteplici: le ricostruzioni dei primi set, i trucchi da illusionista come unica via per dare sfogo alla fantasia nel cinema e citazioni di fatti realmente accaduti come il famoso incidente ferroviario alla stazione di Montparnasse del 1895. Straordinaria e malinconica la colonna sonora firmata da Howard Shore, premio Oscar per Il Signore degli Anelli.

Una scena di Hugo Cabret

Di grande rilievo anche gli ultimi film come lo stupefacente (in tutti i sensi) The Wolf of Wall Street del 2013, la storia di un “gangster della finanza” sorretta da una delle più grandi prove attoriali di Leonardo Di Caprio e il sommesso ed inquieto Silence del 2016, incentrato sul rapporto dell’uomo con Dio e sulla diffusione del vangelo da parte di due gesuiti nel Giappone del sedicesimo secolo.

Dopo una carriera simile il fatto che un autore come Martin Scorsese torni al cinema con The Irishman (un film con una durata stimata di 210 minuti), un progetto inseguito per molti anni, di per sé non è solo eccezionale ma dimostra come in realtà il cinema dell’autore non risenta mai del tempo che passa. Secondo la critica americana ed inglese The Irishman avrebbe addirittura superato pietre miliari come Taxi Driver e Goodfellas. Già c’è chi scommette sul terzo storico Oscar a Robert De Niro destituendo il già favorito Joaquin Phoenix per il suo Joker.

A noi poveri mortali non resta che accogliere l’ultimo ruggito di un regista che ha fatto la storia e consumarci nella sua epica visione. Disponibile in poche sale selezionate grazie alla Cineteca di Bologna in lingua originale dal 4 al 6 novembre e su Netflix a partire dal 27 novembre.

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