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MIRAI di Mamoru Hosada (2018)

- 23/10/2018


MIRAI è l’ennesima variazione ai temi tanto cari al maestro Hosada: la famiglia e il tempo.
Un’opera forse minore rispetto alle precedenti, ma altrettanto importante e significativa.
Un viaggio che ci riporta alla nostra infanzia e al piacere delle nuove scoperte.

Kun è un bambino di 4 anni vivace. La sua quotidianità viene stravolta dall’arrivo della sorellina Mirai.
La gelosia per le attenzioni dei suoi genitori rivolte alla piccola lo porta a chiudersi in se stesso.
Kun, nel giardino di casa, scopre i poteri magici di un grande albero: esso gli permetterà di viaggiare avanti e indietro nel tempo e conoscere così la storia della sua famiglia.

Il piacere di tornare bambino nel mondo di MIRAI

Nella poetica di Mamoru Hosada temi centrali delle sue animazioni sono i legami affettivi e l’elemento magico che sconvolge le regole di spazio e di tempo. Questo è riscontrabile in film come “WOLF CHILDREN” (2012) e “LA RAGAZZA CHE SALTAVA NEL TEMPO” (2006).

Anche qui l’immaginazione de piccolo Kun gli permette di viaggiare nel passato così da riscoprire la fanciullezza dei suoi genitori e quindi riconoscerli affini ai suoi stessi drammi interiori. E riesce anche a confrontarsi con l’odiata sorellina Mirai che nel futuro è una ragazza coscienziosa e saggia.

Egli comprenderà che i suoi genitori non sono nati tali, ma che hanno dovuto imparare ad assumersi questo ruolo con costanza e amore. E in questo processo – anche doloroso – di accettazione (che l’affetto riservato a lui soltanto ora va spartito con la sorellina Mirai) Kun realizzerà di avere una propria identità.

Presente, passato e futuro quindi si fondono magicamente su di un unico piano in cui il microcosmo del piccolo Kun diventa specchio del macrocosmo della sua famiglia e quindi dell’umanità intera.
Hosada sembra suggerirci questa speciale connessione che si crea tra le vite di noi tutti e di rispettarne quindi ogni singolo percorso.

Le dettagliate ambientazioni del film di Hosada sono un piacere per gli occhi: la casa progettata dal padre di Kun e Mirai, architetto di professione, con i suoi differenti livelli sovrapposti ricorda certe scenografie teatrali. Essa diventa metafora degli spazi temporali interconessi.

Talvolta le scelte registiche sono forse macchinose e forzate (sopratutto quando si passa dal presente a un altro piano temporale) e dopo lo stupore iniziale il film perde un attimo di coesione e cade nella ripetitività.
Ma è un errore perdonabile giacché – non dimentichiamoci –  esso parla prima di tutto ai bambini con gli occhi di un bambino.

Ed è questo piccolo sforzo che ci viene richiesto la vera forza motrice di MIRAI: la riconciliazione col nostro passato. La consapevolezza del tempo che non ci verrà più restituo. E che tutto ciò che abbiamo ereditato dai nostri genitori – nel bene e nel male – è parte di quello che noi doneremo al prossimo. Oggi, domani e ieri.

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Ossessionato dal trovare delle costanti nelle incostanze degli intenti di noi esseri umani, quando non mi trovo a contemplare le stelle, mi piace perdermi dentro a un film o a una canzone.

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