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Giovanni Falcone, l’eredità di un uomo al servizio dello Stato (Giornata Nazionale della Legalità)

- 23/05/2020


Oggi 23 Maggio si celebra la Giornata nazionale della legalità, data dell’anniversario della Strage di Capaci, attentato mafioso ad opera di Cosa nostra, avvenuto ventotto anni fa, in cui persero la vita il magistrato Giovanni Falcone insieme alla moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.

Alle 17.58, mentre il Parlamento, a Roma, era riunito per eleggere il nuovo capo dello stato, a Palermo 1000 kg di tritolo facevano saltare per aria il tratto dell’autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci, sul quale stava transitando il magistrato “nemico numero 1 della mafia” e non solo.

Il semplice servitore dello Stato in terra infedelium, come amava lui stesso definirsi, infatti, non dovette difendersi solamente dalla mafia siciliana nel corso della sua vita ma anche da apparati dello Stato, dai servizi segreti e dalle voci di piccoli e grandi cantori che contestarono il suo operato fino alla sua morte, divenendo, consapevolmente o meno, alleati del nemico che ogni giorno cercava di combattere.

Lo chiamarono giudice sceriffo, amico degli amici, giudice sociologo, sciorinatore di falsità e ideatore di falsi attentati, dopo che i 58 candelotti di esplosivo piazzati, il 21 giugno 1989, nella spiaggetta antistante la villetta che il magistrato affittava per le vacanze, nella località palermitana Addaura, non si innescarono.

Lo stesso Falcone, commenterà, qualche anno più tardi, il fallito attentato così: «Questo è il paese felice in cui se ti si pone una bomba sotto casa e la bomba per fortuna non esplode, la colpa è la tua che non l’hai fatta esplodere.»

Una vita al servizio dello Stato

Durante un’intervista, gli chiesero “Dottore, chi glielo fa fare?”, “soltanto lo spirito di servizio” rispose lui.

Nonostante i tentativi di delegittimazione, diciassette anni di vita blindata, le amarezze professionali e la lentezza di una classe politica nel dare ai tribunali tutti gli strumenti necessari per poter combattere la lotta alla criminalità organizzata,  Falcone andava avanti grazie allo spirito di servizio e con la certezza che lo Stato avrebbe potuto sconfiggere la mafia, avendo i mezzi per contrastarla.

Entrato in magistratura nel 1964, cominciò a lavorare come giudice istruttore presso il Tribunale di Palermo l’indomani dell’attentato al giudice Terranova. Nel 1980 Rocco Chinnici gli affidò le indagini del processo contro Rosario Spatola, durante il quale ebbe la famosa intuizione Follow the money. Le inchieste dovevano coinvolgere direttamente anche i flussi economici e il magistrato iniziò quindi a compiere accertamenti bancari. Cominciò così a delinearsi il vincente metodo Falcone e dovette fare i conti con i primi nemici.

Il pool antimafia

Nel 1983 venne assassinato il magistrato Chinnici, ideatore del pool antimafia, istituito dal suo successore Antonino Caponnetto, e formato da Falcone, Di Lello, Paolo Borsellino e Guarnotta. Le inchieste avviate da Chinnici e portate avanti dal pool confluiranno nel primo grande processo contro Cosa nostra, il Maxiprocesso di Palermo, avvenuto tra il 10 febbraio 1986 e il 16 dicembre 1987. Impossibile senza le dichiarazioni di Buscetta, si concluderà con 360 condanne, per un totale di 2665 anni di carcere e 11,5 miliardi di lire di multe da pagare a carico degli imputati.

Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Antonino Caponnetto

I giornali e l’opinione pubblica festeggiavano per la vittoria del pool mentre tra i corridoi del tribunale si manifestò un’insidiosa opposizione a Falcone. Avrebbe dovuto prendere il posto di Caponnetto, che per motivi di salute aveva dovuto lasciare la sua posizione a processo concluso, ma il 19 gennaio 1988 il Consiglio Superiore della Magistratura preferì conferire l’incarico al magistrato Antonino Meli, prossimo alla pensione e senza alcuna esperienza nel campo delle indagini mafiose. Meli concepiva la mafia come una semplice associazione di bande senza una strategia e nel giro di poco tempo decise di sciogliere il pool antimafia.

Nel 1990, sentendosi con le spalle al muro, Falcone deciderà di accettare la posizione di dirigente degli Affari penali del Ministero di Grazia e Giustizia a Roma, dopo essere stato bocciato anche per la posizione all’interno del Consiglio Superiore della Magistratura.

L’eredità di Giovanni Falcone

Il 23 maggio 1992 Giovanni Falcone è stato ucciso, ma continua a insegnarci molto, giorno dopo giorno.

Una delle più importanti eredità del suo operato è stata l’emanazione di provvedimenti normativi in grado d’agevolare il contrasto e la repressione del fenomeno mafioso nella nostra penisola: la modifica al codice di procedura penale italiano, l’istituzione della direzione investigativa antimafia, la tutela dei collaboratori di giustizia. Senza la sua professionalità e la fiducia che ispirava, forse non avremmo saputo tutto quello che Buscetta, e molti altri dopo di lui, decisero di svelargli.

Il magistrato antimafia ha introdotto nuove professionalità e ha cercato di farci comprendere che per poter porre la parola fine a questo fenomeno c’è bisogno dell’impegno di tutt* i cittadin*. Bisogna formare nel migliore dei modi, i magistrati e le forze dell’ordine di domani, insegnandogli a interpretare la loro logica d’azione e lavorando sodo come i professionisti del crimine fanno, arrivando a riuscire a interpretare e prevedere le loro stesse mosse. Solo con uno duro sforzo, continuo e quotidiano questo sarà possibile.

Giovanni Falcone è morto ventotto anni fa e noi non siamo ancora riusciti a fargli giustizia, non portando a termine la missione da lui iniziata, nonostante la mafia sia un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”.

Fonti: Giovanni Falcone, Marcelle Padovani, Cose di Cosa Nostra, Rizzoli, 1991; Francesco Viviano, Alessandra Ziniti, Visti da vicino. Falcone e Borsellino gli uomini e gli eroi, Aliberti editore, 2012; Fondazione Falcone.

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Marchigiana a Torino. Compro più libri di quanti ne possa leggere.

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