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Sessismo da tastiera: quando il patriarcato è anche online.

- 19/04/2020


In questo periodo di quarantena siamo tutt* più connessi su internet e attivi sui social: sono aumentati a dismisura dirette live, immagini, meme, commenti e contenuti di ogni tipo. Con questo incremento di connessioni è diventata palese la crescita di discorsi d’odio online verso le categorie più vulnerabili, come i migranti, la comunità LGBTQI+ e senza tetto, ma i bersagli preferiti dal web rimangono le donne.

Fino ad ora questo sessismo da tastiera, di cui le donne sono più soggette all’insulto, è stato avvertito in maniera indistinta ma senza una vera e propria cognizione di causa (soprattutto dalle vittime) e spesso denunciato dalle influencer che fanno cultura femminista su internet (di cui molte sono state attaccate personalmente).

Ma ora, fortunatamente, Amnesty International, l’organizzazione mondiale sulla tutela dei diritti umani, ha avvertito questo fenomeno allarmante, conducendo così un monitoraggio sull’hate speech dei social. E lo studio condotto, purtroppo, lo conferma: le donne subiscono più attacchi rispetto agli uomini e un terzo di questi attacchi è sessista, quindi gli insulti sono in riferimento al loro genere di appartenenza (quindi in quanto donne).

Un amaro esito che l’ONG mette ancora una volta nero su bianco, con il report «Il Barometro dell’odio – Sessismo da tastiera», pubblicato sul sito ufficiale giovedì 16 Aprile.

Un risultato purtroppo non inaspettato, che rafforza la preoccupazione dell’organizzazione e di tutte noi: alcune forme d’espressione, tipiche della negazione dei diritti fondamentali, continuano a trovare spazio online, in alcuni casi giustificate o addirittura amplificate e rivendicate da rappresentanti politici.

Linguaggio sessista: perché le donne?

Il linguaggio è lo specchio di ciò che siamo. Non mi riferisco all’utilizzo corretto dei costrutti grammaticali (anch’essi importantissimi nella lingua, ma che non rappresentano una discriminante in questo tema) ma del modo e dell’obiettivo per cui utilizziamo un certo tipo di linguaggio. La penna (o in questo caso, la tastiera) può ferire molto più di una spada, e siamo noi i responsabili del risultato ottenuto da un commento sotto un post, che voglia essere di incoraggiamento o di offesa.

Proprio perché la lingua è fluida ed è a stretto contatto con la società, sapere che il linguaggio (soprattutto online, essendo a tratti molto più usato di quello off line) è diventato gravemente sessista ci fa suonare un campanello d’allarme.

Perché le donne?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo partire da un presupposto tanto semplice quanto triste: in questo mondo nasciamo tutt* sessisti.

Veniamo al mondo in una società con delle regole ben stabilite che troppo spesso a sfavore del genere femminile. Cresciamo dunque con degli stereotipi di genere così ben definiti che ci costruiamo sopra tutti i nostri bias cognitivi, cioè i nostri giudizi o pregiudizi che non corrispondono necessariamente alla realtà, ma che vengono sviluppati sulla base dell’interpretazione delle informazioni in possesso (cioè quelli che ci vengono forniti dalla famiglia, dagli amici ed il nostro background, anch’essi plasmati dalla stessa società stereotipata) e che portano dunque ad un errore di valutazione o mancanza di oggettività di giudizio.

Questi stereotipi imposti ci portano a dire/scrivere con molta facilità che se una donna, ad esempio, posta delle foto osé è una “zoccola” e se la va a cercare (vedi il mio articolo sul Revenge Porn), se una donna non è “normopeso” è una “balena” (vedi il mio articolo sulla grassofobia) e se ha i dreadloks è una “zecca sudicia”, proprio perché quella donna non rispetta lo standard di donna: “santa”, “magra” che rimane al suo posto e così via.

Nascosti dietro uno schermo ci sentiamo anche più al sicuro e liberi nell’offendere e insultare, sia da donne che da uomini, pensando di non avere alcuna ritorsione. Dietro a questo schermo si celano le figlie e i figli del patriarcato. I commento d’odio verso le donne sono dei semplici risultati della società maschilista.

Sono questi standard sociali innati che ci portano quindi a pensare che sono le donne ad avere un problema e perciò più degne di essere messe alla gogna. E il monitoraggio di Amnesty International lo conferma. Più l’emancipazione della donna si fa strada e più l’odio aumenterà, in proporzione alla paura dello “scombinamento” sociale, che non da più sicurezza. Più lo stereotipo verrà infranto e più i commenti da parte degli haters saranno feroci, nell’idiota speranza che odiandole quelle donne tornino al loro posto.

Lo studio di Amnesty International: il Barometro dell’odio.

Merita un piccolo approfondimento circa questo monitoraggio condotto dalla ONG, che è riuscito a far venire fuori questo dato molto importante.

Amnesty misura il livello di intolleranza e discriminazione nel dibattito online con il Barometro dell’odio, monitoraggio dei social media realizzato con il contributo di alcuni attivisti specializzati, dal 2018. L’ultimo studio è stato condotto tra novembre e dicembre 2019 e ha preso in analisi i contenuti relativi a 20 personaggi noti italiani, 10 donne e 10 uomini: tra loro Chiara Ferragni, Roberto Saviano, Laura Boldrini, Tiziano Ferro, Giorgia Meloni, Vladimir Luxuria e altri.

Il monitoraggio ha visto l’analisi di 42.143 commenti: più di uno su 10, nel periodo preso in esame, risulta essere offensivo, discriminatorio o hate speech (14%). Ma quando si parla di «donne e diritti di genere» l’incidenza dei commenti offensivi, discriminatori o hate speech sale al 29%: quasi uno su tre.

«L’incidenza media degli attacchi personali diretti alle donne supera il 6%, un terzo in più rispetto agli uomini (4%). Un attacco su tre, di quelli personali diretti alle donne, è di carattere sessista (33%); per alcune delle influencer analizzate il dato arriva fino al 50% o al 71%. Negli attacchi personali alle donne il tasso di hate speech è 1,5 volte quello degli uomini: 2,5% contro 1,6%.

Quello che chiede Amnesty è un intervento per varare misure utili a «rafforzare le campagne di comunicazione e informazione in materia di rispetto dei diritti umani, con particolare attenzione alla condanna degli stereotipi e dei pregiudizi legati al genere e all’orientamento sessuale; intensificare i programmi di educazione sul rispetto e la non discriminazione all’interno delle scuole; condannare prontamente e in maniera risoluta tutti gli episodi di discorso d’odio, in particolare quelli veicolati da politici o soggetti che ricoprono cariche pubbliche; promuovere la conoscenza diffusa, tra le associazioni della società civile, degli strumenti di tutela e sostegno alle vittime per incentivare l’emersione del fenomeno e assistere i soggetti in grado di agire in difesa delle vittime; promuovere politiche volte all’educazione e responsabilizzazione di un uso consapevole della Rete da parte di tutti i cittadini».

Fondamentale è anche l’azione sui social, dove è necessaria «una percentuale adeguata di operatori incaricati di ricevere le segnalazioni per la rimozione tempestiva dei discorsi d’odio, intensificare l’attività di monitoraggio, predisporre adeguati strumenti per fornire rapidamente risposte condivise e ben fondate ai post di odio, fornire maggiore chiarezza su come identificare e segnalare gli abusi sulla piattaforme e condividere informazioni significative sulla natura e sui livelli di violenza e abuso contro le donne e su come rispondervi».

Quindi maggior controllo sui social e nel web ma tanta tanta cultura. Come dicevo prima, siamo tutt* nati sessisti perché veniamo al mondo e cresciamo in una società sessista. Ma ognuno di noi può fare la differenza: leggendo, informandosi, cercando di capire quanto lo stereotipo di genere nuoca agli uomini e alle donne indistintamente.

Ma soprattutto prendere parola, smettere di stare a guardare: non c’è medicina contro il sessismo più efficace e celere di quando non si inizia a difendere le vittime e fare la propria parte. Nel web siamo tutti responsabili in egual misura di fronte ad un discorso d’odio, sia che tu lo scriva, sia che tu lo legga.

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Classe 1990, Pescarese di adozione. Attivista transfemminista e co-fondatrice del Collettivo Zona Fucsia, si occupa da sempre di divulgazione femminista. È speaker radiofonica e autrice in Radio Città Pescara del circuito di Radio Popolare con il suo talk sulla politica e attualità "Stand Up! Voci di resistenza". Collabora nella Redazione Abruzzo di Pressenza. È infine libraia presso la libreria indipendente Primo Moroni di Pescara e operatrice socio-culturale di Arci.

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