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La terapia psicologica domiciliare con i malati oncologici terminali: il tabù del fine vita

- 16/04/2021
fine vita


Avere a che fare con la malattia oncologica è una situazione difficoltosa, che richiede un grande dispendio di energie. Avere a che fare con una malattia oncologica in fase terminale è qualcosa che mette a dura prova sia la qualità di vita del malato che dell’intero sistema familiare.

Il paziente oncologico e la sua famiglia si trovano solitamente ad affrontare difficoltà di tipo fisico ma anche psicologico date dal dover fare i conti con una patologia che non andrà migliorando, come solitamente ci si auspica, ma che porterà invece ad una progressiva perdita delle funzioni vitali e, infine, alla morte.

Il decorso può essere molto diverso da paziente a paziente: ci sono pazienti che mantengono un discreto livello di energia e benessere e peggiorano velocemente negli ultimi momenti e altri che hanno un declino più graduale e continuo.

Inoltre, molte persone hanno grandi difficoltà ad affrontare con il familiare malato il tema della morte, perpetrando una sorta di congiura del silenzio che li ripara momentaneamente dal dolore dato dall’approssimarsi della perdita ma che, allo stesso tempo, impedisce al malato di esprimere i propri timori, preoccupazioni, di confrontarsi con gli altri e anche di chiudere situazioni lasciate in sospeso.

Il paziente si rende quasi sempre conto dell’ingravescenza dei propri sintomi, del diradarsi delle visite ospedaliere che un tempo erano routine e dell’avvicendarsi di altre figure al suo capezzale, ma la riluttanza dei familiari ad affrontare il tema della morte, a nominare una possibile dipartita, porta spesso il paziente stesso ad assecondare i timori di chi lo circonda e ad accondiscendere al loro ottimismo su un’ipotetica ripresa imminente. Ciò porta il malato ad affrontare in solitudine il tema dell’avvicinarsi della morte e a gestire da solo tutte le ansie che questo genera.

Anche quando la parola proibita viene pronunciata in famiglia, però, il paziente può andare incontro ad un alto livello di angoscia e di depressione, che spesso né lui né i familiari riescono a gestire.

Può anche verificarsi la situazione in cui il paziente non è più cosciente o alterna periodi di coscienza alterata a periodi di incoscienza e la famiglia si trova ad affrontare una situazione di perenne “spada di Damocle” in cui non si sa quando arriverà il momento.

Quando in famiglia sono presenti bambini, la situazione si complica ulteriormente: cosa dirò a mio figlio? Che cosa succederà quando io non ci sarò più? Il mio partner riuscirà a far fronte a tutto? Ce la farò a sopportare la morte del mio partner? Come si parla della morte a un bambino?

In tutti questi casi, la presenza e il supporto di uno psicologo domiciliare che prenda in carico tutta la famiglia si rivelano quanto mai preziosi.

La mediazione di uno psicologo

È normale avere difficoltà a comunicare con il proprio caro riguardo a una situazione così angosciante e preoccupante per tutti. Lo psicologo può facilitare questa comunicazione lavorando coi familiari relativamente alle paure e alle difficoltà che si trovano a vivere.

Il carico dei familiari di malati oncologici è enorme, specialmente quando la rete familiare non è particolarmente fitta. Ci si sente smarriti di fronte a un evento che ha comportato un così grande dispendio di energie senza ottenere poi il risultato sperato. Si può essere stanchi, arrabbiati, angosciati. Il lavoro dello psicologo diventa allora il lavoro di cura per eccellenza, il sistema familiare viene preso in carico nella sua interezza in quello che è il “luogo sicuro”, la casa.

I percorsi possono essere diversi a seconda delle esigenze manifestate dal sistema familiare.

Si possono avere percorsi di terapia individuale rivolti al malato che comprendono tecniche per la gestione delle emozioni negative, tecniche di rilassamento, psicoeducazione emotiva, ristrutturazione cognitiva per aiutare nell’accettazione della malattia. L’ascolto si rivela quanto mai importante in questo particolare tipo di lavoro. Aiutare il paziente a parlare dei suoi timori e desideri relativi al proseguimento della vita dei familiari aiuta ad entrare nell’ottica dell’evento che ci sarà, ma aiuta anche a dare continuità al paziente. Attività come scrivere lettere per il partner o per i figli possono aiutare a metabolizzare il distacco, così come azioni volte a chiudere pagine della vita del paziente lasciate in sospeso per troppo tempo.

Percorsi di terapia individuale rivolti ai familiari comprendono elementi simili a quelli rivolti al malato (gestione delle emozioni negative, miglioramento delle strategie di coping per far fronte alle situazioni stressanti, psicoeducazione) ma anche sostegno per la gestione del lutto.

I familiari hanno spesso paura di quelli che saranno gli ultimi momenti. Per questo motivo, devono essere informati di ciò che succederà e devono essere liberi di parlare di questi timori con il terapeuta in modo tale da essere supportati per poter affrontare un evento potente come quello del decesso di una persona amata. Avere il supporto domiciliare del terapeuta è importante anche nella fase di elaborazione del lutto successiva, momento in cui ci si sente fragili e smarriti.

Un percorso di terapia familiare può aiutare poi ad affrontare la “congiura del silenzio” e a comunicare le reciproche preoccupazioni e paure relativamente all’evento. Per il malato poter finalmente esprimere le proprie preoccupazioni può essere motivo di grande liberazione, e per la famiglia affrontare a viso aperto la situazione permette di avere un migliore approccio all’accudimento del malato e al superamento della successiva fase di lutto.

a cura della Dott.ssa Gaia Lazzati
Psicologa esperta in psiconcologia e riabilitazione neuropsicologica
per Doctor Rainbow

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