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I nuovi poveri sono i padri separati?

- 20/10/2021


A cura di Sara Astorino.

Una doverosa premessa: l’argomento oggi trattato viene sviluppato non sulla base degli indici derivanti dalle statistiche ma sulla base di quelle che sono le vicende cui ho assistito, in dodici anni di carriera ( anche di più se si tiene conto del praticantato).

Secondo i dati diffusi dalla Caritas i padri separati non collocatari, ovvero i padri che esercitano il diritto di visita ma non vivono stabilmente con i figli, vivono, a causa della separazione e del divorzio, una situazione di assoluta precarietà.

 Il 66%, circa mezzo milione, non riesce a sostenere le spese per i beni di prima necessità, non potendo neanche provvedere alle piccole spese quando si trovano in compagnia dei figli.

Il motivo di questo disagio?

Viene individuato nella quantificazione dell’assegno di mantenimento per i figli, che spesso è al di sopra delle reali capacità economiche dell’uomo.

Ciò perché, secondo i dati diffusi dall’Unione dei padri separati, nel 94%il genitore collocatario prevalente viene individuato nella madre e, pertanto, come genitore non collocatario il padre è tenuto al versamento dell’assegno di mantenimento.

A ciò si aggiunga che solo nel 30% dei casi al padre è concesso di mantenere la casa mentre il restante 70% deve sostenere, oltre alle spese di mantenimento, anche il costo di una nuova abitazione ( alle volte continuando a pagare il mutuo dell’abitazione familiare).

La realtà è così?

Sulla base dell’esperienza maturata la risposta non può essere si.

Per diverse ragioni.

E’ scorretto affermare che i padri separati, tutti i padri separati, vivono in condizione di indigenza a causa della separazione e/o del divorzio poiché esistono moltissimi padri che non versano il predetto assegno, che risultano nulla tenenti, che affrontano, in prossimità della separazione e del divorzio, gravi difficoltà economiche o che d’improvviso non sono più in grado di provvedere nemmeno a se stessi.

La risposta corretta è che esistono due realtà parallele.

Da una parte quella di uomini che affrontano gravi disagi, perché è innegabile che i parametri per la quantificazione dell’assegno di mantenimento siano da rivedere e siano, ad oggi, frutto del caso più che di un protocollo, e dall’altra parte uomini che, una volta separati/ divorziati, non hanno più figli.

Sarebbe corretto parlare di due fenomeni distinti, paralleli, gli uomini separati che divengono i nuovi poveri e le donne che da sole debbono tirare su i propri figli, spesso private non solo dell’assistenza economica ma anche dell’assistenza morale e psicologica.

Ed ancora bisogna precisare che l’assegnazione della casa familiare è connessa al minore, più chiaramente il genitore collocatario prevalente rimane nella casa perché accudisce i figli.La casa è data, affidata, ai minori e ne gode chi con questi vive.

Chiarito quanto sopra, per onor del vero, bisogna precisare che i padri non chiedono quasi mai, si tratta di rarissimi casi, di avere la collocazione prevalente dei figli.

E’ evidente, pertanto, che la statistica risulta falsata poiché il 94% delle assegnazioni non è una percentuale a favore delle madri semplicemente se i padri neanche provano a chiedere la collocazione prevalente è scontato che questa non venga concessa e con essa la casa.

Ed ancora corrisponde al vero che non esiste una valutazione organica della quantificazione dell’assegno di mantenimento ma è, altresì, vero che per ottenere una riduzione dello stesso sarebbe opportuno che i padri trascorressero più tempo coi figli ma questo non avviene.

I parametri dell’assegno di mantenimento.

Come esposto in precedenza siamo innanzi ad una vera e propria giungla

Ogni Tribunale, infatti, segue dei propri parametri e ciò comporta che a parità di situazioni il contributo al mantenimento vari al variare del Tribunale.

Particolare era la presa di posizione del Tribunale di Monza che aveva statuito, sul punto, che la misura del contributo al mantenimento dei figli minori doveva essere correlato non tanto alla quantificazione delle entrate derivanti dalla attività professionale svolta dal genitore non convivente, quanto, piuttosto, ad una valutazione complessiva del minimo essenziale per la vita e la crescita dei figli stessi

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha stabilito, e molte volte ribadito, che bisogna assicurare al minore il tenore di vita in misura analoga a quello già goduto prima della crisi coniugale dei genitori. Pertanto l’importo del mantenimento dipende anche dalle risorse economiche dei genitori, ricavabili da una ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali delle parti, con riferimento anche alle concrete capacità lavorative e alla potenzialità di produrre reddito.

Soluzioni.

Senza dover scomodare nuovamente il Legislatore basterebbe semplicemente l’emanazione di un protocollo condiviso in maniera unitaria ove non venga indicata la percentuale di contributo al mantenimento in maniera fissa ma che chiarisse una volta e per sempre come fare ad identificare lo stesso.

I parametri?

Ad avviso di chi scrive sono semplici.

Da una parte la capacità reddituale di ambo i coniugi, bisogna evitare che il contributo al mantenimento venga utilizzato a favore del genitore collocatario prevalente, e dall’altro il tempo che effettivamente i genitori trascorrono con i figli.

In questo modo vi sarebbe una forma di contributo al mantenimento diretto, una equiparazione del ruolo genitoriale e una corretta ripartizione delle spese che verrebbero ad essere semplicemente integrate a favore del coniuge che ha maggiore difficoltà economica.

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Non faccio l'Avvocato ma lo sono. Calabra di nascita e "fiorentina" per adozione.

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