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Pseudo-emancipazione mafiosa: Lucia Palmieri da consorte a paciere

- 26/07/2022


Alle pendici dell’Etna vi è una cittadina chiamata Misterbianco, dal nome del Convento in cui i monaci probabilmente domenicani indossavano un saio bianco. Il bianco colore della pace, cosa poco conosciuta nella zona.

Dal 2007 infatti Misterbianco è stata la roccaforte del clan Nicotra che ha radicato nella zona il suo potere, da quel momento fino all’arresto nel blitz Gisella, avvenuto nel 2019, momento in cui i cosidetti “Tuppi” di Misterbianco, gruppo criminale legato alla cosca dei Mazzei di Cosa Nostra sono stati arrestati.

Il ruolo di Lucia Palmieri, moglie del boss o molto di più?

Fra i centoquaranticinque anni di carcere complessivamente inflitti agli imputati, si aggiungono i dodici anni definiti in questi giorni dal Tribunale di Catania per Lucia Palmieri, non solo moglie del boss Tony Nicotra, uomo di vertice del clan misterbianchese. Secondo il tribunale infatti, negli anni la donna ha avuto un ruolo attivo all’interno del gruppo criminale, confermando «un utilizzo strumentale dell’emancipazione femminile da parte dell’organizzazione mafiosa».

Durante il periodo di detenzione del marito, la donna avrebbe “ricevuto i proventi delle attività illecite”, secondo quanto anche raccontato in sede giudiziale dal pentito Luciano Cavallaro. «“So solo che una volta, quando hanno arrestato a tutti nel 2012, che era per Natale, che Orazio Proto ha portato i soldi e glieli.. i soldi per Natale, gli ha portato – mi sembra – 5 mila euro glieli ha consegnati nelle mani a Lucia Palmeri… me l’ha detto Orazio Proto e Jonathan Pasqualino (vittima di lupara bianca, nd) [..] Li ha divisi a lei stessa per suo marito, a Tano Nicotra il grande, a Tano Nicotra il piccolo, a Pippo Avellino (deceduto lo scorso anno) e a Rivilli”.

Da contabile a paciere

Secondo le intercettazioni inoltre, la donna “deteneva il quaderno contabile dell’associazione provvedendo coadiuvata da Rivilli alla tenuta della contabilità” e, usando la sua “influenza femminile, avrebbe cercato anche di fare da paciere nelle fasi di “criticità della vita del sodalizio”.

A conferma del ruolo strumentale della donna all’interno della cosca, il compito di Lucia Palmieri di messaggera del marito a cui avrebbe portato i messaggi degli affiliati liberi durante le visite in carcere.

È molto chiara la veste della Palmieri all’interno di questa vicenda: alter ego del marito in attesa che l’uomo possa tornare a svolgere le sue funzioni, a dimostrazione del fatto che all’interno del mondo mafioso la pseudo-emancipazione femminile è presente solo quando indispensabile e, relegabile, a determinate situazioni circoscritte.

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Marchigiana a Torino. Compro più libri di quanti ne possa leggere.

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