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DOPPIO AMORE di François Ozon (recensione)

- 15/06/2018


DOPPIO AMORE (2017) di François Ozon solletica le fantasie dello spettatore per poi farlo precipitare nelle paranoie della sua protagonista. Sensuale e conturbante.

Chloé si porta dentro un dolore al ventre che pare non passare mai. I medici dicono che il suo dolore sia di natura psichica e quindi si rivolge a uno psichiatra.
L’analisi pare andare bene finché Paul, lo psichiatra, decide di sospendere le sedute perché inizia a provare un sentimento per la sua paziente.
Chloé condivide questo sentimento e ben presto i due decidono di convivere.
La serenità dura finché la ragazza non scopre il segreto del compagno: l’esistenza di un gemello monozigote che esercita la stessa professione del fratello in un altro quartiere di Parigi.
Incuriosita ella va a cercarlo e ne resta da subito folgorata.
Presto avvia una relazione segreta anche col gemello così tanto diverso dal suo compagno e questo è solo l’inizio di un incubo…

La filmografia di François Ozon è sufficiente perché si comprenda come egli sia un regista eclettico e vivace che entra ed esce dai più svariati generi cinematografici per analizzarli e destrutturarli e contaminarli con elementi originali o “diversi“.
Nella sua ultima fatica, DOPPIO AMORE, adattamento di un romanzo breve di Joyce Carol OtesLives Of The Twins“, Ozon guarda al cinema del passato per adattarlo al suo gusto personale e alle sue ossessioni.

Che siano voluti o involontari, non sono pochi gli elementi che richiamano subito alla mente temi e film di altri grandi maestri del cinema: dalle riprese di Hitchock alla fotografia di De Palma, dalle morbosità di Cronenberg e il suo film “INSEPARABILI” alle atmosfere inquietati di “ROSEMARY’S BABY” di Polanski.

Ozon affonda il suo sguardo nell’intimità di un personaggio femminile complesso la cui identità ci sfugge continuamente. Essa fiorisce e si dispiega grazie agli stimoli – mentali e sessuali – dei due gemelli, ma sarà portata lei pure a sdoppiarsi, a sprofondare nella propria dualità di donna capace di amare due uomini così diversi tra loro.
Durante il film tornano spesso le scale e le riprese vertiginose così come la presenza di specchi o superfici riflettenti che duplicano, triplicano le immagini, per disorientarci.

In realtà la sceneggiatura spesso pecca di una certa prevedibilità e certi dialoghi hanno una costruzione forse più adatta al contesto di una pièce teatrale, ma il regista francese ha la capacità di distrarre lo spettatore e di turbarlo tra fantasie erotiche più o meno esplicitate e inaspettati picchi di puro terrore che lo avvicinano al genere horror.

La coppia scelta da Ozon ha una perfetta alchimia che trasuda sensualità a ogni scena: da una parte la fragile e misteriosa Marine Vacht e dall’altra Jérémie Renier, attore belga che collaborò giovanissimo in un altro titolo di Ozon ( il bellissimo “AMANTI CRIMINALI” del 1999 ) e che poi ha spaziato tra cinema europeo e statunitense.
Sono i loro corpi e i loro sguardi a restare impressi, l’ambiguità e l’arrendevolezza tra la vittima e il carnefice, tra la parte del dominatore e quella del dominato, in un gioco di ruoli che continua a mutare e rivelarsi e a stuzzicare l’intelligenza e la pudicizia del pubblico in sala.

 

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Ossessionato dal trovare delle costanti nelle incostanze degli intenti di noi esseri umani, quando non mi trovo a contemplare le stelle, mi piace perdermi dentro a un film o a una canzone.

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