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JOKER – Ridere della Violenza. Morire della Vita. (recensione)

- 08/10/2019
JOKER con Joaquin Phoenix


Joker di Todd Phillips è sicuramente un film che farà parlare di sé perché esercita una pressione sui nervi scoperti della nostra società che è sempre la stessa, destinata a soccombere o a insorgere, come ieri così domani.

Arthur Fleck (soprav)vive con la madre malata e tenta disperatamente di essere ascoltato, visto, riconosciuto. Ma sia sul lavoro, che per le strade egli è costantemente deriso e umiliato e vittima di bulli.
Vestito da clown egli si guadagna un po’ di soldi come può, covando il desiderio di diventare un comico.
Cresciuto con un tic nervoso che lo fa ridere fragorosamente e senza controllo, viene però visto come folle o inquietante.
Poi un giorno Arthur si troverà una pistola in mano…

JOKER con Joaquin Phoenix
Joaquin Phoenix è il nuovo JOKER

Ci sono film che diventano manifesto di un’epoca o di una realtà socio politica. JOKER, per quanto se ne stiano tessendo più che meritate lodi, non è e non sarà questo. Esso è più manifesto di un moto interiore, di una collera, di un senso di sconfitta, di un malessere che corrode dal di dentro e scalpita per venire alla luce.

Ecco perché – sopratutto negli States – il film di Todd Phillips è considerato erroneamente “pericoloso“.
Nella terra delle grandi contraddizioni, questo film, che guarda al villain per eccellenza, appare quantomai controverso perché si instaura una sorta di empatia verso il suo protagonista.

Ma non è mitizzazione o venerazione di uomo che fa cose spregevoli, è semmai uno sguardo diretto e sincero nella mente di un uomo disturbato e ferito dalla vita, dalle persone che lo avrebbero dovuto amare, da un sistema sanitario e sociale che avrebbero dovuto ascoltarlo e aiutarlo.

Joker di Todd Phillips
JOKER ha vinto il Leone D’Oro alla 76esima Mostra del Cinema di Venezia

JOKER è una risata isterica che non lascia tregua, è una risata che non ha nulla di divertente, ma è un grido tra la folla, una richiesta di aiuto che rimbalza sulle pareti di un appartamento fatiscente, per le strade della città, a lavoro, davanti a un programma televisivo che (de)ride di noi stessi.

Sebbene la storia sia ambientata negli anni ’80, il film di Todd Phillips guarda al nostro presente o – cosa che più fa paura – a un possibile futuro prossimo, giacché il governo Trump e la cannibalizzazione dei sentimenti che ci viene propinata ogni giorno nei salotti televisivi di Barbara D’Urso e della De Filippi allatta i mostri della porta accanto.

È sorprendente scoprire che dietro la macchina da presa di questo film così dannatamente intimo e dai toni quasi autoriali si celi un regista che si è fatto conoscere per commedie demenziali come “ROAD TRIP” (2000) e la trilogia di “UNA NOTTE DA LEONI” o un “PARTO COL FOLLE” (2010).
C’è un salto qualitativo impressionante, c’è una maturità e una crudele delicatezza nello sprofondare nella psiche di Arthur Fleck che ha dell’incredibile.

Ma sarebbe altrettanto superficiale ammettere che Todd Phillips abbia compiuto un miracolo. Egli ha dimostrato certamente una grande capacità di manovrare questa creatura filmica, ma è evidente come questo film debba davvero tanto al cinema di Martin Scorsese e a opere immortali come un “TAXI DRIVER”.
E sono tanti i film che trattano e hanno raccontato di questo disagio (forse anche migliori) e di questa violenza che genera violenza, ma questo JOKER avrà certamente un impatto maggiore perché ci presenta un personaggio che già tutti conosciamo e che le nuove generazioni, cresciute divorando film targati DC o MARVEL, sono curiose di (ri)vedere.

Il potere di questa pellicola, meritatamente premiata con il Leone d’Oro alla 76esima Mostra del Cinema di Venezia, sta proprio nelle suo essere pop e autoriale allo stesso tempo, nella sua capacità di parlare a un pubblico trasversale e mai così eterogeneo.

Ci sono stati due elementi che non ho apprezzato, devo essere sincero.
La prima riguarda la scelta di voler inserire – nella versione italiana – momenti in cui (dalla presentazione di un biglietto da visita a una lettera scritta dalla madre di Arthur) ci troviamo a leggere scritti in italiano e poi vedere che i giornali e altre cose sono lasciate – giustamente – in lingua originale. Questo crea una sorta di cortocircuito a mio parere, spezza involontariamente l’immersione nel film stesso.

La seconda, che sono certo non troverà tutti d’accordo, è l’utilizzo della musica. La colonna sonora è un elemento essenziale, sopratutto in un film del genere, e il lavoro fatto dalla violoncellista e compositrice Hildur Guðnadóttir è davvero ottimo, ma ho trovato che in certe scene la musica fosse in qualche modo prevaricante e ingombrante. Se anche posso immaginare questa volesse sottolineare una rabbia e un grido interiore, avrei preferito che in certi passaggi questa si facesse più intima e sofferta, anziché frastornare a tutti i costi.

JOKER con JOaquin Phoenix
Joaquin Phoenix e il suo JOKER sarà certamente uno dei protagonisti della prossima notte degli Oscar

Ma a dispetto di questi due piccoli, quasi insignificanti accenti, JOKER è di fatto un film davvero intenso e forte che colpisce dritto allo stomaco e che resta nella mente per tanto tempo. E se dobbiamo riconoscerne il merito al regista è anche vero che a divorare la scena è prima di tutto il suo protagonista, Joaquin Phoenix.

Phoenix ha compiuto l’impossibile (non farci rimpiangere le performance attoriali di chi lo ha preceduto: da uno strepitoso Jack Nicholson a un maniacale Heath Ledger), ma è andato oltre, disegnando sul suo volto e delineando col suo corpo qualcosa che non può lasciare indifferenti.
Il lavoro che ha fatto su se stesso è impressionante. Non è solo l’aver perso peso (il processo forzato di dimagrimento è certamente un percorso che aiuta a sentire sotto pelle, nello stomaco, un senso di inappagamento, di alienazione dalla realtà), ma è come ha trattato ogni singolo movimento, perché potessimo guardare il Joker come fosse la prima volta.

Ma prima di tutto, prima di guardare al personaggio cartaceo, la vera vittoria in questo senso è che Joaquin Phoenix ci ha mostrato l’uomo sotto il cerone, l’umanità alla deriva di un perdente, “l’eterno raggio di tenebra di una mente frammentata” (concedetemi questo stravolgimento del titolo di un film che io amo da sempre) che di lì a poco sappiamo diventerà altro.

Il suo Arthur Fleck è il prodotto malato di un mondo che lo ha costantemente schiacciato e deriso e violentato ed è paradossale e sintomatico dei nostri tempi (dei social e dei media) come alla fine del film egli, dopo essere apparso in un noto programma televisivo, sia eletto a simbolo di un dissenso collettivo.
Egli non ha scelto di essere questo, ma lo diventa suo malgrado, e nella sua totale disperazione e follia, si sente per la prima volta ascoltato e riconosciuto per chi è.
Ma è l’ennesima beffa di una commedia (della vita) che lo vede protagonista (da sempre, fin dalla sua nascita), perché quando Arthur Fleck sarà finalmente ascoltato e osannato dalle folle, non sarà più lui. Quel briciolo di umanità sarà morta. Dietro quel cerone colante, dietro quel sorriso che ha il colore e il sapore del sangue pesto, non c’è più Arthur. Non c’è più l’uomo, c’è solo il Joker.

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Ossessionato dal trovare delle costanti nelle incostanze degli intenti di noi esseri umani, quando non mi trovo a contemplare le stelle, mi piace perdermi dentro a un film o a una canzone.

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