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Perché non si parla del femminicidio di Saman Abbas?

- 08/06/2021
saman abbas femminicidio


Se n’è parlato davvero molto poco del femminicidio di Saman Abbas, la sedicenne musulmana uccisa a un componente della famiglia perché ha rifiutato il matrimonio combinato. Così si pensa, probabilmente, in quanto il corpo non è mai stato trovato ma le indagini stanno procedendo molto velocemente e verso quella direzione.

Non sono qui per parlare di cronaca nera, non mi compete e non ne sarei nemmeno in grado. Quello di cui mi preoccupo è però la scarsa, quasi inesistente, reazione da parte dell’opinione pubblica, nello specifico quello che si definisce di “sinistra”.

Di fronte all’ennesimo femminicidio, perché di questo si parla, ci si aspettava la solita indignazione sui social, con il solito slogan utilizzato “non basta dire basta”. E invece no: notizia passata in sordina, poca reazione, politici e politiche assenti. Perchè non c’è stato il coraggio di denunciare l’accaduto?

Un silenzio che alcun* hanno percepito e ritenuto assordante a causa di quel relativismo culturale per cui un femminicidio di una donna straniera passa sotto traccia. Un silenzio anche da chi, di solito, si esponeva a gran voce per i diritti, quelli che abitualmente non perdevano l’occasione di sottolineare le ingiustizie. E invece oggi, con Saman, la paura di essere ritenuti inopportuni, razzist*, fa tralasciare questa battaglia.

Perché quello che è accaduto è proprio quello di non volersi buttare in una questione più complessa e intersezionale di quello che sono abituat*, in cui non si possa stare nella classica tifoseria destra/sinistra.

Una situazione non bianca o nera, ma con delle sfumature: davvero si pensa che ammettere che il femminicidio sia stato commesso da uno straniero si diventi automaticamente razzista? O ci si può iniziare ad allenare alla complessità e all’intersezionalità e iniziare a commentare una vicenda oltre un certo numero di caratteri (sempre troppo pochi) del social media?

Abbiamo relegato la questione di Saman Abbas nel cassetto degli “altri”, come se quello che è accaduto non interessi la classe media bianca privilegiata, come se non ci interessasse in alcun modo.

Dovremmo prendere coraggio, smettendola di avere paura di prestare il fianco alle destre, solo perchè si ammette che ad uccidere quella ragazza è stato un ragazzo musulmano. Questi comportamenti non sono giustificabili ne nei paesi di origine ne dalla religione, ma che sono figlie del patriarcato più evidente, non va negato ne giustificato. Il problema dunque non è la cultura di per se, diversa da quella occidentale (che viene considerata la più progressista) ma il patriarcato che affonda con diverse intensità nelle diverse culture.

Ed ogni donna che vuole diventare più “occidentale”, come Samas avrebbe voluto, è perché vuole essere libera e rivendicare il loro diritto di dire no. E qui non c’entra nulla la tifoseria: ciò non significa che la cultura occidentale sia meglio di quella islamica, ma che al suo interno ha con se lotte di liberazione della donna che in altre culture purtroppo non ancora avviene (per approfondire la questione della cultura occidentale che prevarica quella islamica, vi consiglio di leggere il mio articolo sul velo, in cui cerco di spiegare l’altra faccia della medaglia).

Proprio perché non se n’è parlato, apro qui uno spazio di riflessione. Se è vero che bisogna limitare i pregiudizi verso gli stranieri, ciò non ci deve impedire di far presente del maschilismo presente in alcune culture e, soprattutto, dare il giusto spazio, come lo è stato fatto con gli altri femminicidi, alle vittime come Saman.

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Classe 1990, Pescarese di adozione. Attivista transfemminista e co-fondatrice del Collettivo Zona Fucsia, si occupa da sempre di divulgazione femminista. È speaker radiofonica e autrice in Radio Città Pescara del circuito di Radio Popolare con il suo talk sulla politica e attualità "Stand Up! Voci di resistenza". Collabora nella Redazione Abruzzo di Pressenza. È infine libraia presso la libreria indipendente Primo Moroni di Pescara e operatrice socio-culturale di Arci.

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