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Perché tanto timore di uscire ingrassati dalla quarantena?

- 22/03/2020


Si, siamo in piena quarantena.

Non possiamo uscire se non in casi di prima necessità. In alcuni comuni addirittura hanno imposto dei metri di distanza massimi anche per fare jogging e attività all’aperto, proprio per disincentivare le attività all’esterno delle proprie abitazioni.

L’ansia è tanta e spesso diventa angoscia. Molti si sentono come in gabbia. Alcuni sfogano la loro agitazione andando a correre (nel pieno mirino degli haters che pensano siano loro gli untori del virus), ma molti altri nel cibo: cucinando, mangiando, provando ricette nuove e più elaborate per passare il tempo e, perché no, bevendo anche qualche bicchiere in più di vino, magari in diretta Skype con gli amici.

Mi è capitato più volte di vedere sui social miei contatti avere il terrore di uscire da questa quarantena con dei chili in più (“Si alla quarantena, no alla quarantina di chili”), cercando di fare “sport” in casa, attrezzando palestre di emergenza nel salone e ricacciando il vecchio tappetino per fare ginnastica.

Addirittura persone influenti come Fedez, Chiara Ferragni e Elettra Lamborghini hanno postato foto di loro su Instagram in cui si ritraevano grassi dopo la quarantena, denigrando il corpo grasso come se fosse un insulto.

La foto di Instagram di Fedez che ha suscitato non poche polemiche.

Premettendo e sottolineando che fare movimento in un momento come questo aiuta a sentirsi meglio ed è uno svago utilissimo per diminuire l’angoscia (io ho iniziato a fare yoga e sono pessima!) e mantenersi in salute è fondamentale … Tutto questo mi ha fatto comunque riflettere su come, nonostante una pandemia in atto, sia così tanto importante il mantenersi in forma, anche se ciò comporta in loro ansia. Per alcuni il rimanere in forma è come un dovere, non un piacere.

Che poi non tanto il dovere di rimanere “in salute”, che al giorno d’oggi è fondamentale, ma il dovere di rimanere “magri”.

Colgo quindi l’occasione per parlare una volta per tutte di Body Positivity e di Fat Acceptance, l’accettazione del grasso. Magari dopo aver letto l’articolo vi sentirete anche un po’ più sollevati, e avrete un pensiero in meno, chissà!

Cos’è la Body Positivity?

La Body Positivity (= positività del corpo) è un movimento nato nella seconda ondata del femminismo, in cui la questione “corpo” è iniziata a far parte delle tematiche del movimento. Il messaggio principale era, ed è tutt’ora, di accettare il proprio corpo come si è, senza dover per forza seguire uno standard di bellezza imposto e quindi rispetto, inclusione e superamento degli stereotipi.

Non promuove l’obesità ma dà spazio ai corpi che esistono. In Italia è iniziato a diffondersi intorno agli anni 2000 ma aveva una connotazione tutt’altro che politica e militante come in America. Infatti gli slogan della Body Positivity sono stati ripresi dalle multinazionali e dai brand come claim pubblicitario: “La Donna Vera ha le curve”, “Amati come sei!” (si, però fino alla 46! dalla 48 in su difficilmente riusciamo a trovare pantaloni o vestiti…) e lo spopolamento della parola “Curvy”.

Tutto molto bello, ma bisogna fare un passo avanti. La Body Positivity di oggi ha ridotto il tutto ad hashtag, indirizzato a donne “normopeso” con qualche difettuccio da accettare. Ha semplicemente allargato il range di accettazione, la “gabbia dorata” degli stereotipi di bellezza. Quando infatti alcuni brand dicono “La Vera Donna ha le curve” è uno slogan altamente tossico, poiché è un ricreare un ulteriore stereotipo di bellezza e di femminilità che però non dovrebbe esistere.

La vera Body Positivity è un accettazione totale di qualsiasi corpo, proprio perché non accetta alcun stereotipo. Non esiste un “corpo non conforme” o “corpo conforme”. Esistono semplicemente i corpi. Ogni corpo è valido così com’è, degno e meritevole di essere accettato: bisogna smantellare la bellezza come valore fondamentale per stare bene al mondo e vivere quindi serenamente nella società.

Cerchiamo di cambiare la rappresentazione dei corpi annientando poco a poco qualsiasi ideale maschile di bellezza introiettato nella cultura pop.

La Fat Acceptance

La Fat Acceptance è un concetto che fa parte del movimento della Body Positivity. In italiano può essere tradotto come “l’accettazione del grasso” ed è un processo di smantellamento del canone di bellezza imposto. Tutt* noi sappiamo benissimo che lo stereotipo della bellezza impone la magrezza, sia per gli uomini che per le donne (anche se gli uomini con la pancia piacciono perché da un senso di persona impegnata, le donne con la pancia sono pigre e poco attente al proprio corpo).

Non a caso, molto spesso si usa la parola grassa come insulto: se qualcuno vuole essere cortese nei confronti di una persona con un corpo grasso dice “cicciotella”, “pienotta”, “robusta” e mai “grassa”, proprio perché considerata una parola brutta.

Il primo passo per cambiare le cose e quindi per accettare la grassezza (cercando quindi di fermare anche il fat shaming [=discriminazione del grasso, e non vergogna del grasso]) è per le persone grasse iniziare ad usare la parola “grasso” come parola neutra e non in senso negativo. Bisogna riappropriarsi della parola. Grasso è un aggettivo descrittivo, esattamente come “magro”, “biondo”, “alto” ecc. Si pensa sempre che avere un corpo grasso implica essere meno belle, e quindi di serie B. Ma bisogna smettere di fare questo automatismo.

Per chi invece non è grasso, di iniziare invece ad avere più rispetto per il corpo altrui e smettere di focalizzarsi su come gli altri appaiono. Ognuno è libero di trattare il proprio corpo come si sente e come può, e nessuno ha il diritto di giudicarlo. Fare osservazioni altrui sul peso e sul corpo non fa bene nè a chi le fa nè a chi li riceve.

Questo fenomeno può essere considerato una vera e propria grassofobia: il corpo grasso viene considerato come uno stigma perché disturba, perché non è conforme alla normalità e questo spaventa. Immaginatevi se iniziassimo ad accettare l’essere grasso, in cui nessuno giudica più il corpo altrui e le persone grasse iniziassero ad amarsi, accogliere ed essere felici nel proprio corpo: metteremmo in discussione la scala del privilegio sociale e gli sforzi che le persone fanno per attenersi ad essa. Degli sforzi inutili per raggiungere una perfezione irrealistica della società, per giunta.

Thin Privilege

Un altro concetto collegato con la Body Positivity e la Fat Acceptance è il Thin Privilege, cioè il privilegio sociale di cui tu godi nel momento in cui sei magr*. Chi è magro viene considerato di più e meglio rispetto alle persone persone grasse, sia in ambito lavorativo, in cui le persone grasse vengono considerate meno intelligenti, meno attive e irresponsabili, sia a livello sociale, sia in ambito medico. Ma anche per quanto riguardano le questioni di tutti i giorni, quindi la scelta dei vestiti (come dicevo prima, la 46 va bene, ma la 48 sognatela!), i posti nei mezzi pubblici ecc.

Sono dei privilegi invisibili, esattamente come il privilegio del MBE (maschio bianco etero) rispetto alle donne, e chi dimagrisce se ne accorge istantaneamente.

La società ci ha inculcato questo orrendo pensiero che essere grassi significa essere un fallimento perché non riusciamo a cambiare il proprio corpo normalizzandolo, e ciò comporta nel favoreggiare chi non è grasso. Purtroppo non è una colpa, ma un semplice dato di fatto.

E la salute??

Tra le varie obiezioni sulla Fat Liberation (quindi al completo rovesciamento dei canoni estetici) è la questione della salute.

E’ un argomento molto complesso, per questo mi farò aiutare da alcuni link utili: c’è un articolo meraviglioso scritto da Mara Mibelli, la cofondatrice insieme a Chiara Meloni del progetto Belle di Faccia (unico progetto valido in Italia sulla Body Positivity) su Bossy e un video di Irene Facheris nella sua rubrica YouTube “Parità in pillole”. Intanto provo a fare un piccolo sunto.

Prima di tutto obiettare la Fat Liberation con la questione salute è un atto di benaltrismo vero e proprio, poiché va a puntare l’attenzione su una questione individuale dimenticando un dilemma molto più radicato e complesso nella società. Il punto focale del movimento non è imporre l’obesità a tutti i costi, ma eliminare lo stigma che la società ha imposto sui corpi non conformi a certi standard.

Anche perché esistono diversi studi che affermano che le diete non funzionano per migliorare la salute fisica ma solo ed esclusivamente per perdere peso velocemente. Eppure queste diete sono socialmente accettate, proprio perché viviamo nella “Diet Culture”. Pensate davvero che vivere in una costante di privazione del cibo sia sano?

Non si può evincere niente sulla salute di una persona in base al suo peso corporeo. La salute non può nemmeno essere considerata un valore morale in quanto anche l’accesso alla sanità è un vero e proprio privilegio.

Essere in buona salute è un diritto, non un dovere, quindi nessuno può colpevolizzare chi non è in buona salute qualora non lo fosse per scelta o per costrizione. Infatti anche il mantenersi in buona salute dipende molto dalla classe sociale e lo stile di vita che si può permettere. Chi ha la possibilità di pagarsi la palestra, avere tempo di andarci, pagare del cibo sano (che costa di più del cibo spazzatura…) e avere una vita con minor stress e tempo libero non è infatti da tutti.

Soprattutto in questo periodo di quarantena mantenersi in ottima salute è importantissimo. Ma non per forza imporsi di non mangiare e stare in costante pena per i propri addominali implica lo stare in salute e preservarla.

Mangiate della cioccolata, se vi fa stare un po’ meglio. Fate pilates o yoga a casa se vi rilassa. Siate liberi di fare ciò che vi da la forza di passare un altra giornata in casa.

E ricordatevi solo che alla fine di questo tunnel non importa se ne esci con qualche chilo in più, o meno.

Importa chi sei tu.

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Classe 1990, Pescarese di adozione. Attivista transfemminista e co-fondatrice del Collettivo Zona Fucsia, si occupa da sempre di divulgazione femminista. È speaker radiofonica e autrice in Radio Città Pescara del circuito di Radio Popolare con il suo talk sulla politica e attualità "Stand Up! Voci di resistenza". Collabora nella Redazione Abruzzo di Pressenza. È infine libraia presso la libreria indipendente Primo Moroni di Pescara e operatrice socio-culturale di Arci.

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