Soltanto quattordici anni, mancavano otto giorni al suo quindicesimo compleanno.
Aveva una sconfinata passione per i cavalli e fu nel novembre del 1993, proprio uscendo dal maneggio di Piana degli Albanesi, piccolo comune della città metropolitana di Palermo, che venne fermato da quattro uomini. Si presentarono come poliziotti e dissero che lo avrebbero condotto dal padre, che non vedeva da tempo perché divenuto collaboratore di giustizia. Ma quelli non erano agenti e Giuseppe non riabbracciò mai più suo padre.
Gaspare Spatuzza, uno dei sequestratori, racconterà: «Agli occhi del ragazzo siamo apparsi angeli, ma eravamo lupi. Era felice, diceva “Papà mio, amore mio”.” Pochi minuti dopo, invece, si ritrovò legato nel cassone di un furgoncino Fiat Fiorino».
Santino Di Matteo, padre di Giuseppe, era stato arrestato nel giugno del 1993 in quanto affiliato a Cosa Nostra e iniziò presto a collaborare con i magistrati, rivelando loro dettagli su diversi attentati mafiosi e, in particolare, sulla strage di Capaci.
Per informare la famiglia del rapimento fu recapitato al nonno di Giuseppe un biglietto: “Il bambino ce l’abbiamo noi, non andare ai carabinieri se tieni alla pelle di tuo nipote”.
La madre di Giuseppe contattò prontamente la DIA per organizzare un incontro con il marito Santino che, nonostante tutto, decise di non interrompere la collaborazione in corso e di non denunciare la scomparsa del figlio, avviando una trattativa.
Nel mese di dicembre Santino tentò una fuga, per cercare il figlio e risolvere la questione “nella sua maniera”. La sua latitanza terminò presto, quando si costituì alle autorità e denunciò la scomparsa del piccolo Giuseppe. La notizia divenne in poco tempo di dominio pubblico.
Nel 1996 Giovanni Brusca, alla scoperta della condanna all’ergastolo che la Corte d’Assise pronunciò nei suoi confronti per l’omicidio di Ignazio Salvo, si infuriò e ordinò a Enzo Brusca, Vincenzo Chiodo e Giuseppe Monticciolo di uccidere Giuseppe Di Matteo, nascosto nelle campagne palermitane.
779 giorni dopo il sequestro, il brutale omicidio. Le turbanti dichiarazioni di Vincenzo Chiodo hanno aiutato a ricostruire gli ultimi istanti di vita dell’innocente ragazzino.
«[…] Monticciolo […] gli dice ‘mi dispiace’ rivolto al bambino ‘tuo papà ha fatto il cornuto’. Il bambino non ha capito niente, perché non se l’aspettava, non si aspettava niente e poi il bambino ormai non era… come voglio dire, non aveva la reazione di un bambino, sembrava molle… anche se non ci mancava mangiare, non ci mancava niente, ma sicuramente la mancanza di libertà, il bambino diciamo era molto molle, era tenero, sembrava fatto di burro… cioè questo, il bambino penso non ha capito niente. Sto morendo, penso non l’abbia neanche capito. […] Io l’ho preso per i piedi e Monticciolo e Brusca l’hanno preso per un braccio l’uno così l’abbiamo messo nell’acido e ce ne siamo andati sopra. […] io ci sono andato giù, sono andato a vedere lì e del bambino c’era solo un pezzo di gamba e una parte della schiena, perché io ho cercato di mescolare e ho visto che c’era solo un pezzo di gamba… e una parte… però era un attimo perché sono andato… uscito perché lì dentro la puzza dell’acido era… cioè si soffocava lì dentro. Poi siamo andati tutti a dormire».
Sì, dopo aver eseguito l’ordine del boss Giovanni Brusca sono andati a dormire.
Il mattino dopo il corpo di Giuseppe Di Matteo era del tutto liquefatto, sul pavimento rimaneva solo la corda che soffocò i suoi ultimi respiri. Il liquido venne raccolto e versato in aperta campagna. Gli indumenti di Giuseppe e il materasso su cui dormiva furono bruciati.
La morte si scoprì con l’arresto di Monticciolo e le confessioni di Chiodo, costituitosi volontariamente.
Per l’omicidio sono stati condannati all’ergastolo Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella, Matteo Messina Denaro (oggi latitante), Giuseppe Graviano, Salvatore Benigno, Francesco Giuliano e Luigi Giacolone. A Monticciolo sono stati inflitti 20 anni di carcere, a Enzo Brusca 30, a Chiodo 21 e a Spatuzza 12.
La mafia che segue un codice d’onore, la mafia che non tocca i bambini, la mafia che ama la famiglia e i suoi valori. Una favola codarda durata troppo tempo. La mafia non ha onore.
Cosa Nostra, uccidendo il piccolo Giuseppe, si è mostrata in tutta la sua atrocità. Morto senza difese e senza colpe.
Decenni dopo la sua storia continua a toccare le menti di tanti italiani che gridano “no” alla violenta e disumana mano mafiosa.
Giuseppe Monticciolo, uno dei tre assassini, dichiarò: “Così credevamo di aver risolto il problema, ma invece andò a finire che quel bambino morto ammazzato, un bimbo, sconfisse la mafia. Fu peggio di una sconfitta militare, perché Cosa nostra perse la faccia e il rispetto della gente”.
Giuseppe Di Matteo, un bambino per noi ancora vivo.
Un bambino che amava i cavalli.
Un bambino che ha sconfitto la mafia.
a cura di Melissa Cortese
Fonti sitografiche:
Radio Radicale, estratti della registrazione audio udienza: Processo per l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo figlio del collaboratore della giustizia Santo Di Matteo.
Radio Radicale, registrazione audio della presentazione del libro “Era il figlio di un pentito” di Giuseppe Monticciolo e Vincenzo Vasile.
Articolo su Open
Articolo su Globalist synadacation
Articolo su Antimafia Duemila
Fonte bibliografica:
Libro ““Ho ucciso Giovanni Falcone” La confessione di Giovanni Brusca” di Saverio Lodato
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