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Mani Pulite, trent’anni dopo l’inchiesta che ha segnato l’Italia

- 14/02/2022


L‘inchiesta che ha segnato la storia d’Italia. Partendo da Milano, le indagini coinvolsero procure di tutto il territorio nazionale, rivelando un sistema corrotto che interessava politica ed imprenditoria.

Il 17 febbraio 1992 veniva arrestato a Milano Mario Chiesa, presidente socialista del Pio Albergo Trivulzio, fedelissimo craxiano, colto in flagranza con la famosa mazzetta da sette milioni di lire, pagata dall’imprenditore Luca Magni che, stanco della situazione, aveva denunciato.

«La notizia dell’arresto di Mario Chiesa non rivelò niente che gli italiani non sapessero»

Gli Anni neri della Repubblica: l'arresto di Mario Chiesa e l'avvio di  Tangentopoli – C A N D I D O

Cominciava così l’inchiesta che sarebbe passata alla storia come Mani Pulite, che mise sottosopra l’Italia intera, portò alla crisi dei partiti, alcuni spazzati letteralmente via, come nel caso del PSI e della DC, e vide per la prima volta un segretario politico indagato. Ricordiamo Bettino Craxi e la “madre di tutte le tangenti“, la Enimont, il suo avviso di garanzia, il discorso al Parlamento nell’aprile 1993 per difendersi. E ancora, le autorizzazioni a procedere chieste dai magistrati, quattro su sei respinte, fino ad arrivare al 30 aprile e al famoso lancio delle monetine, fuori dall’Hotel Raphael di Roma, dove Craxi risiedeva.

Il ruolo dei media

Il tema della corruzione divenne l’argomento principe dell’agenda pubblica e mediatica. La stampa si focalizzò al riguardo come mai aveva fatto nella storia repubblicana. Direttamente dal Palazzo di Giustizia di Milano, e non solo, il pubblico veniva a sapere quali erano i partiti coinvolti nelle indagini, i soggetti indagati e le connessioni tra i vari fascicoli.

«Il fatto che, ben prima che l’inchiesta toccasse l’apice, i giornali avessero già “sbattuto” la corruzione in prima pagina per mesi e mesi, contribuì probabilmente all’ampliamento dell’inchiesta stessa. In primo luogo, questo convinse i magistrati di avere il sostegno dell’opinione pubblica e ne motivò ulteriormente l’azione. In secondo luogo, l’incessante copertura mediatica convinse imprenditori e politici indagati, o in procinto di esserlo, che ormai convenisse confessare piuttosto che essere travolti, così da abbattere il muro di omertà che aveva ostacolato simili indagini in passato.»

Come rivelato da Giancarlo Spadoni, collaboratore del pool guidato da Antonio Di Pietro, la pressione da parte dei mass media «era altissima. Avevamo gli occhi puntati addosso per ogni passo che facevamo. La magistratura e quindi anche noi investigatori finivamo sempre in prima pagina o al centro del servizio tv di giornata. Con questo non dobbiamo dimenticare che Mani Pulite ha generato anche un’anomalia: difendersi dal processo e non nel processo.»

Trent’anni dopo

Molti si sono domandati, e continuano a farlo, se Mani Pulite è stata un’illusione di un processo di cambiamento o se realmente qualcosa è avvenuto. In Italia, non possiamo dire che la corruzione sia stata definitivamente battuta. Continua ad essere presente ma la situazione è migliorata, come lo rivelano i dati dell’Indice di corruzione della Transparency International.

Dati che si scontrano con la visione dei cittadini. Secondo l’ultima indagine Demos-Libera sulla legalità, per 6 italiani su 10 nulla è cambiato dal 1992 a oggi e il 22% pensa che la corruzione, da allora, sia perfino cresciuta. Tangentopoli, forse, non è mai finita.

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Marchigiana a Torino. Compro più libri di quanti ne possa leggere.

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