732 views 7 min 0 Comment

Cosa ci insegnano le donne in Afghanistan?

- 26/09/2021


Il 25 Settembre, in diverse piazze in Italia, si è tenuta la manifestazione a sostegno delle donne Afghane, che da più di un mese ormai sono sotto attacco dalla stretta dei Talebani. La manifestazione è stata organizzata dalla Casa internazionale delle donne di Roma e Cisda, l’associazione che si occupa nello specifico delle donne afghane insieme al Rawa, le donne rivoluzionarie dell’Afghanistan.

Questa estate, mentre l’Italia era in ferie e in vacanza, dall’altra parte del mondo è accaduta la catastrofe. Dopo poco tempo che l’esercito americano lasciasse il paese, i Talebani, l’organizzazione di guerriglia afghana, estremisti islamici, sono riusciti a prendere il possesso del paese e con loro imponendo regole dettate, a loro detta, dal Corano, comportando dunque delle restrizioni per le categorie più vulnerabili: una di queste sono proprio le donne.

Diverse sono le restrizioni e diverse sono le battaglie che stanno conducendo, anche se le notizie molto spesso arrivano imprecise. Sappiamo che le bambine e le ragazze non possono più andare a scuola, costrette ad indossare un burqa, il capo di abbigliamento tipico afghano che copre tutto il corpo, sappiamo che non possono più lavorare, né ricoprire delle cariche di potere o politici, la maggior parte rimane a casa per paura di essere viste dai Talebani.

Sappiamo che il nuovo governo talebano non comprende donne, e questo non ci stupisce, ma non abbiamo notizia di tutte le donne politiche e professioniste che hanno deciso o non sono riuscite a scappare dal paese. L’ultimo aggiornamento era la loro attesa di essere uccise dai talebani. E questo non ci ha fatto altro che allarmare ancora di più.

Stiamo vivendo ad una vera e propria violazione dei diritti umani, ma con un accanimento verso le donne e tutte le diversità della popolazione.

Ma bisogna fare una riflessione ulteriore. La condizione in Afghanistan la si può considerare la classica situazione alla “oltre il danno la beffa”, in quanto non solo sta mietendo vittime e violenze, ma ha anche nutrito una buona fetta di femministe islamofobe (che per me è un ossimoro…), fomentando così automaticamente un sentimento razzista verso una cultura che non è occidentale.

Ribadisco spesso che i femminismi sono tanti e diversi, e ultimamente il femminismo che sta prendendo più piede, dopo quello trans-escludente (anche se l’uno non esclude l’altro, purtroppo) è proprio quello del Femonazionalismo.

Consiglio di lettura: Femonazionalismo di Sara Farris.

Cosa ci ha insegnato la situazione delle donne in Afghanistan?

Come già scritto, la situazione delle donne in Afghanistan non è delle migliori, anzi, possiamo considerarla una delle peggiori in tutto il mondo. Ma va fatta una riflessione ulteriore: quanto le notizie che ci arrivano in Italia, come in tutto l’occidente, sono corrette e neutre? Quanto la situazione in Afganistan sta acuendo il razzismo e l’islamofobia?

Da femminista intersezionale, in cui non riesco a scindere le tematiche di genere con quelle religiose e di etnia, mi viene da fare una riflessione circa il mio sguardo occidentale e imperialista verso i paesi islamici, senza mettere in dubbio la gravità della situazione. Prima di tutto il considerare le donne afghane come persone da salvare, non in grado di autodeterminarsi e di lottare autonomamente, come se la donna bianca occidentale (o l’uomo occidentale radical chic) sia l’unica loro salvatrice.

Questo atteggiamento, molto presente nel femminismo bianco e borghese ovvero il Femonazionalismo, sta prendendo molto piede anche in Italia, e va sradicato dalla radice. E’ lo stesso femminismo che considera dunque l’islam come una religione totalmente sbagliata e di serie B, creando delle gerarchie e quindi ulteriori discriminazioni.

Non a caso, il femonazionalismo prevede la figura della donna al potere (un po’ come la Preside della Moordale della nuova stagione di Sex education, ma niente spoiler), e per esserlo deve però ricalcare lo stesso atteggiamento patriarcale che hanno gli uomini. Non vi è l’abbattimento della scala gerarchica e del concetto di privilegio: semplicemente si estende il privilegio a qualche donna, che si è “meritata” quel posto all’apice più delle altre.

Ed ecco che le donne potenti si reputano superiori alle donne afghane e islamiche, e con immensa ipocrisia organizzano raccolta fondi e pretendono che acquisiscano le nostre usanze e religione, come se la loro tradizione non sia giusta o corretta come la loro, pensando di poterle salvare senza dare loro lo spazio di confronto, crescita e condivisione con noi.

Le donne che pretendono di togliere il velo alle musulmane considerano il modello occidentale come l’unico giusto e corretto in tutto il mondo e lo impone al prossimo.

Ed ecco che aizza l’odio verso l’islam “a favore delle donne”, ma in realtà loro sono solo a favore del loro modello bianco privilegiato, senza rendersi conto che basterebbe leggere il Corano per capire che è maschilista tanto quanto (forse addirittura meno) del cattolicesimo, che invece tanto inneggiano o comunque non combattono per quieto vivere.

La linea tra la solidarietà e il salvataggio per le sorelle afghane può sembrare sottile, ma non va in alcun modo superato. Il compito delle femministe intersezionali è quello di dare spazio e forza alle donne di tutto il mondo, sostenerle nelle loro scelte religiose e culturali senza la pretesa colonialista che solo con noi occidentali possano vivere serenamente la loro vita.

Molto bello infatti è lo slogan delle piazze di ieri, 25 Settembre:

Sorelle noi ci siamo, e non siamo qui per voi, ma CON VOI!

<hr>Condividi:
- Published posts: 138

Classe 1990, Pescarese di adozione. Attivista transfemminista e co-fondatrice del Collettivo Zona Fucsia, si occupa da sempre di divulgazione femminista. È speaker radiofonica e autrice in Radio Città Pescara del circuito di Radio Popolare con il suo talk sulla politica e attualità "Stand Up! Voci di resistenza". Collabora nella Redazione Abruzzo di Pressenza. È infine libraia presso la libreria indipendente Primo Moroni di Pescara e operatrice socio-culturale di Arci.

Facebook
Instagram