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Lina Merlin, la voce ferma delle donne che urlò contro le case di tolleranza

- 08/03/2021
Legge Merlin


Una donna alla quale la storia dell’Italia repubblicana deve molto è Lina Merlin. Madre costituente, fervente militante socialista nei periodi più bui della democrazia italiana, nel 1958 dà il nome a una legge ancora oggi molto discussa, e della quale una certa fazione politica ha fatto della sua abolizione una delle lotte di bandiera: “Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui“, legge n. 75 del 25 febbraio 1958.

 La legge Merlin, che ebbe un iter di approvazione molto lungo, di circa dieci anni, vieta all’art. 1 “l’esercizio di case di prostituzione nel territorio dello Stato e nei territori sottoposti all’amministrazione di autorita’ italiane“.

A sostegno della Merlin, sebbene dopo lunghi ed estenuanti dibattiti parlamentari, si affiancò un fronte unito trasversale composto dalla DC, dal Partito comunista, socialisti e repubblicani. Ad opporsi furono principalmente Msi, liberali e socialdemocratici.

Al momento della promulgazione ne intimava la chiusura agli esercenti entro sei mesi: solo il 20 settembre 1958 furono chiuse le 560 case di tolleranza registrate nel paese, in cui venivano ospitate 2700 prostitute.

Chi è Lina Merlin

Sbaglieremmo se considerassimo Lina Merlin una benpensante cattolica: niente di più diverso.

Classe 1887, nata nella provincia padovana, la Merlin proveniva da un’agiata e numerosa famiglia di dipendenti statali: il padre segretario comunale, la madre maestra, le trasmettono i valori della cultura e del rispetto verso i propri ideali. Lina stessa, dopo il diploma, decide di seguire le tracce materne e diventa maestra anche lei, prendendo servizio in un istituto elementare di Padova che non lascia neanche quando ottiene di poter insegnare francese alle proprie medie.

Giovanissima, dopo la prima guerra mondiale entra in contatto con il socialismo e i suoi valori di uguaglianza e giustizia sociale. Si tessera al Psi nel 1919 aderendo all’impronta antimilitarista del partito, sconvolta dalla perdita di due dei suoi fratelli in guerra.

Lavora alacremente per sensibilizzare la classe lavoratrice e offrire gli strumenti adeguati perché si dotasse “di sobrietà e cultura“, da contrastare allo sciocco materialismo della classe borghese, con iniziative come la biblioteca per adulti e ragazzi, il teatro del popolo, l’università proletaria, il ricreatorio laico e la scuola festiva di lavoro per le donne. Nel 1922, però, venti di antidemocrazia cominciano a soffiare sull’Italia intera per mezzo degli attacchi squadristi dei fascisti, e il sogno di tanti si trasforma in un incubo.

Lina Merlin giovane
Lina Merlin

Nel 1924, durante la festa di S. Antonio, Lina e i suoi amici cercano di mimetizzarsi nella folla di fedeli per istituire una direzione del partito. È in quell’occasione che la violenza fascista si manifesta in tutta la sua cruda spietatezza quando le porte del rifugio si spalancano e un uomo, trafelato, nello sgomento generale annuncia l’uccisione di Giacomo Matteotti. È il punto di non ritorno per tutti, l’anno zero di una tirannia che sta mettendo le radici in tutta Italia: il fascismo si mostra in tutto il suo intollerabile orrore, e chi non vuole allinearsi è costretto alla fuga.

Nel 1926, Lina rifiuta di prestare fedeltà al fascismo, e in un disperato tentativo di sottrarsi alla giustizia littoria viene arrestata e condannata a cinque anni di confino in Sardegna. Al ritorno si sposa con Dante Galliani, vecchia fiamma e collega di partito rimasto vedovo, ma il matrimonio dura poco perché lui morirà dopo appena quattro anni.

Durante la seconda guerra mondiale, Lina diventa membro attivo della Resistenza con l’organizzazione, insieme ad Ada Gobetti e Laura Conti, dei “Gruppi di difesa della donna”, e il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia le affida il compito di riorganizzare il sistema scolastico.

Madre Costituente

«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

Senza Lina Merlin, la portata rivoluzionaria di questo articolo non sarebbe stata la stessa.

Eletta tra le ventuno donne dell’Assemblea Costituente, accanto a Teresa Noce e a Nilde Iotti, prende parte alla commissione che si occupa di formulare i principi forndamentali e i diritti inderogabili degli italiani. È l’unica donna del gruppo, come le capiterà spesso nella sua vita più avanti. Si giunge finalmente a una sintesi che recita “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, ma Lina chiede di esplicitare, attraverso un emendamento, la dignità sociale dei cittadini “senza distinzione di sesso.

I suoi colleghi le rispondono che è scontato, e che la dicitura “cittadini” è intesa come inclusiva e neutra rispetto al sesso, ma lei riesce a farlo mettere sul bianco. Sarà proprio l’art. 3 della Costituzione, così come tramandatoci dalla volontà di Lina Merlin, che consentirà alle donne di mettere in atto tutte le battaglie necessarie per riformare il diritto di famiglia e acquisire diritti come l’aborto, l’uguaglianza sul lavoro, l’ingresso nei corpi militari.

L’attività come parlamentare e la “legge Merlin”

Nel 1948 Lina Merlin è eletta al Senato. Nella prima legislatura l’accompagnano altre tre donne, mentre dopo le elezioni del 1953 sarà l’unica a Palazzo Madama (“si diceva che il Senato avesse una donna sola, ma una di troppo”, rivela nella sua autobiografia). Nella terza legislatura passerà invece alla Camera, e farà parte della Commissione antimafia. Durante l’esperienza a Montecitorio la sua carriera politica legata al Psi si concluderà con una rottura violenta, stanca di avere a che fare con “fascisti rilegittimati, analfabeti politici e servitorelli dello stalinismo“.

Al Senato prima e alla Camera dopo, Lina Merlin si dedica anima e corpo al miglioramento della condizione femminile. Il suo capolavoro politico è la legge che porta il suo nome, la legge 75 del 20 febbraio 1958, tutt’ora vigente, con la quale è stata abolita la regolamentazione statale della prostituzione, e si dispongono sanzioni nei confronti dello sfruttamento e del favoreggiamento della prostituzione.

La legge ha un iter parlamentare lungo dieci anni, durante il quale Lina fa fronte a diversi ostacoli ideologici, retaggi patriarcali, falsi moralismi e la carente empatia di molti dei suoi colleghi, che chiedono addirittura di discutere la legge in seduta segreta per nascondere i dibattiti agli occhi della stampa.

A chi le chiede in che modo intenda cancellare la prostituzione, la Merlin risponde di “voler eliminare non la prostituzione ma la complicità dello Stato nel considerare il corpo femminile un piatto da servire un un vassoio. Che genere di figli saranno allevati se non sapranno avere una donna se non servita su un piatto come un fagiano?

Nella sua autobiografia, Lina spiega: “La Costituzione non può essere realizzata, finché una donna, per un atto sia pure deplorevole, ma che non è un crimine, gravano gli effetti di una iniqua sanzione e perciò stesso si afferma il suo stato di inferiorità“.

Non si esclude che la legge approvata nel ’58 sia stata una delle cause del tramonto della sua carriera politica: “Non sono lieta della notorietà che mi ha dato, perfino all’estero, perché in fondo non viene della importanza della legge in sé stessa, ma dall’accanimento degli italiani nel non accettarla, come l’hanno accettata i paesi di tutto il mondo a eccezione della Turchia, della Cina e pochi altri dell’Africa“.

Nei suoi 15 anni in Parlamento le sue battaglie guardano alle donne anche in merito ad altri problemi, come le proposte di legge sull’abolizione del carcere preventivo o la procrastinazione dell’inizio della pena per le madri, o l’eliminazione dell’apposizione di “figlio di NN(Nomen Nescio) dai documenti anagrafici dei figli non riconosciuti dal padre. Un timbro infamante, discriminante e lesivo della dignità anche delle donne, che venne abolito solo nel 1975.

Intensa è anche la sua attività riguardante la condizione di estrema povertà della zona del Polesine, nel delta del Po, devastata dalla miseria, dalla fame e dalle malattie endemiche, chiedendo conto dei 145 miliardi raccolti nel 1952 per l’alluvione dell’anno precedente. Durante uno dei suoi appassionati interventi, Lina mostra le immagini dei bimbi del Polesine colpiti dalla cheratomalacia, una malattia che rende ciechi per via di una inadeguata nutrizione nei primi mesi di vita. Alla reazione sbigottita dei suoi colleghi, Lina pronuncia le seguenti parole “Signori, non sono i bimbi dell’India, ma del Polesine, che è in Italia“.

La fine della carriera politica

A settantasette anni, dopo aver stracciato la tessera del Psi, nonostante gli appelli dei suoi sostenitori che vorrebbero vederla candidata anche come indipendente per una quarta legislatura, Lina Merlin si ritira dalla politica e decide di scrivere la sua autobiografia, nella quale ripercorre i lunghi anni di militanza politica e di attività parlamentare.

La mia vita” (Giunti Editore) viene però pubblicata solo nel 1989, a dieci anni dalla scomparsa a ben 92 anni, curata da Elena Marinucci.

Oggi Lina Merlin è sepolta presso Cripta del Famedio del Cimitero Monumentale di Milano.

Fonti: Enciclopedia delle donne, Il fatto quotidiano, Lina Merlin – La mia vita (Giunti Editore), Grazia Gotti – Ventuno donne all’assemblea (Bompiani)

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Sono nato in Puglia, terra di ulivi e mare, e oggi mi divido tra la città Eterna e la città Unica che mi ha visto nascere. La scrittura per me è disciplina, bellezza e cultura, per questo nella vita revisiono testi e mi occupo di editing. Su BL Magazine coordino la linea editoriale e mi occupo di raccontare i diritti umani e i diritti lgbt+ nel mondo... e mi distraggo scrivendo di cultura e spettacolo!

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